Tra i 35 cuori artificiali impiantati con successo al Monzino di Milano, di cui negli ultimi 18 mesi, otto sono Heartmate 3, il primo Vad (Ventricular assistance device) completamente impiantabile, che utilizza la tecnologia di levitazione magnetica, progettata per minimizzare le complicanze e ripristinare il flusso sanguigno.

I Vad hanno la funzione di “pompa del sangue” e contribuiscono in toto o in parte alla funzione del ventricolo (per lo più il sinistro) di diffondere il sangue in tutto l’organismo. Si tratta quindi di dispositivi miniaturizzati, delle vere mini-pompe appunto, che vengono posizionati all’interno del torace per assistere il cuore nella sua azione propulsiva.

Per ora ci sono le batterie

Lo scompenso grave, o insufficienza cardiaca, è l’incapacità del cuore di contrarsi e dilatarsi in maniera sufficiente per svolgere le sue funzioni vitali”, spiega PierGiuseppe Agostoni, direttore della Cardiologia critica del Monzino e professore di Cardiologia all’ Università degli Studi di Milano.

Fino agli anni ’60 l’unica terapia possibile era il trapianto di un nuovo cuore. Tuttavia il trapianto presenta ancora oggi limiti importanti, quali l’(in)disponibilità dell’organo o la selezione del paziente. Per questo la ricerca si è concentrata sui Vad e quelli attuali, come Heartmate 3, funzionano con tecnologie di propulsione del sangue nuove, che sfruttano i campi magnetici, garantendo maggiore durata e sicurezza rispetto al passato e soprattutto minor rischio di complicanze trombo-emboliche. Poco ingombranti rispetto ai modelli precedenti, funzionano grazie a batterie che si portano in vita come una cintura. Sono in corso di sperimentazione anche ricariche wireless, senza fili e senza bisogno di batterie esterne”.

L’impianto di un Vad prevede un team multidisciplinare e un fondamentale lavoro di squadra, che segue il paziente dalla selezione al follow-up nel tempo. Questo gruppo coinvolge il cardiologo esperto di scompenso cardiaco avanzato, per la selezione e follow up del paziente, il cardiologo esperto in imaging ed emodinamica, lo psicologo, l’anestesista rianimatore e il cardiochirurgo.

Le indicazioni al Vad sono molteplici e vanno da quelle temporanee in attesa di un cuore da trapiantare a quelle in cui il Vad è definitivo, quando un trapianto non è possibile. Questo significa, ad esempio, pazienti con problemi di età o comorbidità”, continua Agostoni.

“Pertanto il Vad non è più considerato solo la “soluzione ponte” di passaggio al trapianto, ma una terapia di destinazione che può sostituirsi al trapianto stesso. Le sue performance, e di conseguenza i benefici per il paziente portatore, vanno di pari passo con l’evoluzione tecnologica, che è in continuo miglioramento. Già adesso la sopravvivenza media dei pazienti con Vad di lunga durata è di circa cinque anni a fronte di una attesa di sei mesi. Si tratta ovviamente di una media statistica, perché tutto dipende dalle condizioni specifiche di ogni paziente candidato all’impianto. Ma è indubbio che più passa il tempo più questi dati migliorano per tutti”.