Nell’estate del 2020 a 16 anni, a causa di un incidente in moto a Lugo, nel Ravennate, Davide aveva subito l’amputazione del 3° prossimale di omero con disarticolazione (viene tolto tutto l’arto compresa l’articolazione della spalla). Questo tipo di amputazione è particolarmente favorevole alla tecnica TMR e l’intervento è avvenuto circa ad un anno di distanza dall’incidente per ridare funzionalità ai nervi che presentavano ancora una potenzialità.

Dopo l’incidente desideravo una protesi funzionale e non solo estetica. Era il 4 dicembre 2021 quando mi sono sottoposto all’intervento di TMR, sapevo che ci sarebbe voluto del tempo ma già dopo pochi mesi ho visto i primi risultati – racconta il paziente Davide Dalpane –. E oggi, a distanza di oltre un anno dall’operazione, posso compiere gesti quotidiani con più facilità, dall’aprire la bottiglietta d’acqua, al fare la spesa (posso tenere i sacchetti da ambo i lati), ma anche usare il tablet o portare il trolley (e dall’altra parte tenere in mano il cellulare). È una bella sensazione poter fare queste azioni dopo tanto tempo in cui non lo credevo più possibile. Prima dell’incidente giocavo a pallavolo, passione che è proseguita giocando a sitting volley (pallavolo paraolimpica). È stata e continua ad essere un’esperienza bellissima che mi permette di incontrare altre persone con disabilità che mi spronano a dare sempre di più. Oggi mi dedico anche agli studi: mi sono iscritto all’università e studio per diventare professore di educazione fisica, con la speranza in futuro di poter mostrare come la menomazione non costituisca necessariamente un limite e come affrontare un problema ricavandone una nuova opportunità”.

In Italia, il pioniere nell’utilizzo della tecnica TMR è Guido Staffa, neurochirurgo specializzato nella chirurgia del sistema nervoso periferico al Maria Cecilia hospital. Negli ultimi quattro anni nel nostro Paese sono stati eseguiti sette interventi di TMR (sono circa una cinquantina nel mondo), tutti dal team di Staffa parte dell’Unità operativa di Neurochirurgia del Maria Cecilia diretta da Ignazio Borghesi.

La funzione della tecnica TMR è creare i presupposti per l’impianto protesico – spiega Staffa –. Anni fa ho fatto parte di un gruppo di studio sugli amputati. Le protesi elettriche impiantate non venivano utilizzate bene dai pazienti in quanto per eseguire il movimento specifico della protesi si devono contrarre muscoli che sono tuttavia deputati a movimenti diversi. Il nostro cervello si rifiuta infatti di usare movimenti diversi da quelli per cui è stato progettato. Da qui l’idea di impiantare i nervi della parte residua all’amputazione, ovvero quelli che rimanevano nel moncone, su questi muscoli per ottenerne l’attivazione. Si aggira così il limite umano, definito lo schema corporeo, ovvero la memoria del cervello che non è in grado di attivare naturalmente la protesi secondo quelle che sono le necessità”.

Sono due i principali scopi della procedura: trattare il dolore cronico (neuroma doloroso o sindrome dell’arto fantasma), che troppo spesso limita la qualità di vita di queste persone, e porre le basi neuro-muscolari per l’impianto della protesi.

“In estrema sintesi, – spiega Marco Cancedda del team di neurochirurgia – l’intervento consiste nel liberare i nervi dalle aderenze cicatriziali post-traumatiche e collegare i nervi che controllavano la funzione dell’arto perso con muscoli della regione della spalla-petto. Questi muscoli target funzioneranno poi come amplificatore di segnale per gli elettrodi della protesi. Essendo vie nervose che naturalmente comandavano i movimenti da recuperare, la TMR consente di migliorare il controllo della protesi e agevolare il percorso riabilitativo del paziente. Questa procedura è un’operazione di neurochirurgia ad alta complessità  svolta solo presso alcuni centri in Europa”. 

Il muscolo reinnervato viene successivamente testato attraverso un processo di riabilitazione e uno studio fisiologico per applicare dei sensori che rilevano l’impulso elettrico da trasmettere alla protesi. Il percorso per il paziente è lungo e dura circa due anni, tra la preparazione riabilitativa pre-operatoria, l’operazione, la riabilitazione post-operatoria e anche il follow up e la riabilitazione a lungo termine e l’addestramento all’uso della protesi.

Si stima che siano oltre tremila ogni anno i casi di amputazione dell’arto superiore in Italia, a causa di patologie o per eventi traumatici. A queste persone la protesica offre una nuova quotidianità, grazie all’evoluzione della tecnologia e materiali sempre più performanti, ma indossare una protesi è come accendere la luce: non è solo questione di avvitare la lampadina, anche i cavi elettrici devono essere collegati correttamente.