Non mi viene in mente un altro Paese che abbia lanciato una sfida di tale ampiezza”. Rino Rappuoli, Scientist and Head External R&D di GSK Vaccines a Siena e Professore di Vaccines Research presso l’Imperial College di Londra, paragona il nuovo centro di ricerca all’Istituto per malattie infettive creato da Anthony Fauci negli Stati Uniti negli anni Novanta per combattere l’AIDS.

Il Biotecnopolo è stato ideato su iniziativa dell’ex Ministro Speranza e istituito dalla legge finanziaria dello scorso anno. Parte con una dotazione di nove milioni nel 2022, 12 nel 2023 e 16 dal 2024, mentre al Centro pandemico, costola del Biotecnopolo sono stati assegnati 340 milioni anche dal PNRR. Il secondo articolo dello statuto chiarisce gli obiettivi della Fondazione che svolgerà le funzioni di hub antipandemico nazionale “per la ricerca, lo sviluppo e la produzione di vaccini e anticorpi monoclonali”.

Anticorpi monoclonali

L’obiettivo, spiega Rappuoli è di farsi trovare pronti per la prossima pandemia. “Quando c’è stata la prima SARS nel 2002 avevamo creato un vaccino che funzionava benissimo nei modelli animali. Poi il virus è scomparso e non abbiamo avuto più fondi per i test sull’uomo”, ha dichiarato in un’intervista a Repubblica. Se quel vaccino fosse stato portato avanti si sarebbe guadagnato tempo anche nella lotta contro il Covid.

Per questo a Siena cercheranno di farsi trovare pronti facendo poche cose, “ma molto bene”. Il punto di partenza sono i batteri, considerati più difficili dei virus, e soprattutto da quelli resistenti agli antibiotici. “Tutti i batteri in tutto il mondo stanno diventando resistenti agli antibiotici che usiamo e noi dagli anni Ottanta non siamo in grado di trovarne di nuovi”. Rappuoli pensa allo sviluppo di vaccini contro i batteri resistenti in modo da non avere più bisogno di antibiotici. “Un’altra strada è la creazione di anticorpi monoclonali diretti contro i batteri dannosi”.
È stato calcolato che se non si farà nulla la resistenza agli antibiotici avrà causato cento trilioni di danni tra il 2014 e il 2050, più di tre pandemia Covid.
Oggi si contano già 4,5 milioni di vittime l’anno, la seconda causa di morte nel mondo.

In Italia la resistenza agli antibiotici produce oltre 11mila morti l’anno. Il tasso di resistenza italiano Italia è sette volte maggiore rispetto a quello della Scandinavia. In Europa siamo al quinto posto e la prevenzione delle infezioni ospedaliere (di cui il 65% è resistente) è ai livelli più bassi d’Europa e la percentuale di utilizzo improprio degli antibiotici sale ulteriormente al Sud. I dati dell’Eurobatro della UE e dicono che l’uso di antibiotici ha raggiunto un minimo storico: il 23% degli europei dichiara di aver assunto antibiotici per via orale nell’ultimo anno, la percentuale più bassa dal 2009. Questo valore varia però dal 42% a Malta al 15% in Svezia e in Germania.

Circa l’8% però è stato assunto senza prescrizione medica e un numero molto elevato di europei ha assunto antibiotici senza un valido motivo. L’indagine ha anche evidenziato una preoccupante mancanza di consapevolezza dei cittadini in merito all’uso appropriato degli antibiotici. Solo la metà (50%) degli intervistati sa che gli antibiotici non sono efficaci contro i virus, solo tre europei su dieci sanno che l’uso non necessario di antibiotici li rende inefficaci, che l’assunzione di antibiotici dovrebbe cessare solo una volta completato l’intero ciclo di cura, che gli antibiotici spesso comportano effetti collaterali, come la diarrea, e sono inefficaci contro i raffreddori. I nuovi dati dell’ECDC indicano poi un forte aumento della resistenza antimicrobica. Tra il 2016 e il 2020 nell’UE/SEE il numero delle infezioni e dei decessi causati dalla resistenza antibatterica è aumentato in misura significativa. Tra il 2017 e il 2021 si è registrato anche un aumento del numero e della proporzione delle segnalazioni di infezioni invasive da Klebsiella pneumoniae e Acinetobacter spp., che sono resistenti ai carbapenemi, un gruppo di antibiotici spesso utilizzati come antibiotici di ultima linea.

L’approccio One Health

Da questa minaccia crescente emerge la necessità di affrontare la resistenza antimicrobica attraverso un approccio One Health che riconosca l’interconnessione tra la salute umana, la salute animale e l’ambiente. Quest’anno sono entrate in vigore nuove norme dell’UE che, per garantire la continuità dell’efficacia degli antimicrobici essenziali nella medicina umana, ne vietano l’uso nella medicina veterinaria.

La Commissione ha pubblicato anche un riesame dei piani d’azione nazionali One Health degli Stati membri contro la resistenza antimicrobica. Dal riesame è risultato che molti Stati membri trarrebbero vantaggio da un rafforzamento di questo approccio nei confronti della resistenza antimicrobica che tenga conto dell’impatto degli antibiotici sull’ambiente.

Nel primo semestre del 2023 la Commissione ha anche in programma l’intensificazione della sua azione sulla resistenza antimicrobica con una proposta di raccomandazione del Consiglio e nell’ambito di una proposta di revisione della legislazione farmaceutica dell’UE. Nel corso del 2023 l’Unione avvierà un’azione congiunta con gli Stati membri, Norvegia, Islanda e Ucraina sulla resistenza antimicrobica, finanziata con cinquanta milioni di euro nell’ambito del programma “UE per la salute” (EU4Health). Nel quadro di Orizzonte 2020, il programma di ricerca dell’Ue, sono stati mobilitati oltre 690 milioni di euro per sostenere la ricerca e l’innovazione nel settore della resistenza antimicrobica.

I maggiori problemi nel mondo si hanno nei Paesi dell’Africa sub-sahariana, in alcuni Stati del Nord America e dell’Europa orientale. Il problema è particolarmente sentito in ambito infettivologico, complice anche la penuria di nuovi farmaci immessi sul mercato negli ultimi anni: a eccezione degli antiretrovirali contro i virus responsabili dell’epatite C (HCV) e dell’AIDS (HIV). Da qui il lavoro pubblicato su Lancet di un paio di studi finanziati dalla Bill & Melinda Gates Foundation, da Wellcome Trust e dal Department of Health and Social Care britannico, condotto da oltre cento specialisti di tutto il mondo per tracciare una stima del picco determinato dalla mancata risposta dei patogeni agli antibiotici. I ricercatori si sono focalizzati su 33 batteri patogeni e 11 tra le principali malattie infettive da questi provocate (meningite, altre infezioni del sistema nervoso centrale, miocardite, infezioni addominali e peritoneali, del tratto respiratorio, della pelle, delle ossa e delle articolazioni, diarrea, infezioni del tratto urinario e pielonefrite, gastroenterite, infezioni sessualmente trasmissibili) che causano una morte ogni sette decessi in 204 paesi.

Con la possibilità che si sviluppi anche la sepsi, spesso fatale. Nel 2019 Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae e Pseudomonas aeruginosa sono stati responsabili di più della metà dei decessi per infezione batterica. Un altro studio ha calcolato l’eccesso di rischio di morte o di durata dell’infezione (carico di malattia) associato alla resistenza agli antibiotici per 23 agenti patogeni batterici e per 88 combinazioni patogeno-farmaco. La mole di dati raccolti, osserva un dettagliato articolo di Scienza in rete, ha permesso di stimare il carico di malattia connesso alla resistenza microbica per 12 principali sindromi infettive batteriche: respiratorie inferiori, ematologiche, peritoneali, intra-addominali (in ordine decrescente di letalità) e, a seguire, le altre (urinarie, di cute e sottocute, del sistema nervoso centrale, del cuore, delle ossa e articolazioni dell’apparato riproduttivo, tifo, paratifo e diarroiche). L’antibiotico resistenza dei batteri mina la salute e la sopravvivenza in misura pari (o, forse, maggiore) di HIV e malaria, in tutto il pianeta: nel 2019, circa 4,95 milioni di decessi erano “associati” alla resistenza batterica e, di essi, 1,27 milioni erano “direttamente attribuibili“.

Il problema è globale anche se cambia l’incidenza da paese a paese. Per questo oltre alla fornitura di servizi igienici adeguati e acqua potabile per contrastare la resistenza antimicrobica bisogna anche lavorare sui vaccini. Per ora ne è disponibile solo uno per uno dei sei principali agenti patogeni (Streptococcus pneumoniae), e sono in fase di sviluppo altri. Allo sviluppo parteciperà anche la struttura di Siena. Poi bisognerebbe incidere sull’agricoltura e l’allevamento per ridurre l’esposizione agli antibiotici e scoraggiarne l’uso nel trattamento delle infezioni virali.