Medici e chirurghi della Fondazione Policlinico Gemelli che si occupano dei pazienti acromegalici hanno messo a punto un algoritmo che rappresenta una guida pratica alla scelta del trattamento più adatto dopo l’intervento chirurgico.

L’acromegalia è una malattia rara, che in Europa colpisce 1,2 persone su 10.000. In Italia se ne diagnosticano ogni anno circa 250 nuovi casi. È dovuta ad un’eccessiva produzione da parte di un tumore ipofisario di origine neuroendocrina dell’ormone della crescita (GH) e alla conseguente elevata sintesi e secrezione epatica dell’IGF-I.

Lo studio è stato pubblicato su Jcem, una delle riviste scientifiche internazionali più prestigiose in ambito endocrinologico e organo ufficiale della Endocrine Society americana da Sabrina Chiloiro e colleghi. “Questo lavoro – afferma la ricercatrice in Endocrinologia all’Università Cattolica e dirigente medico della Fondazione Policlinico Gemelli – consentirà ai pazienti di approdare più rapidamente alla migliore terapia e di ottenere così un miglior controllo della malattia, che finora poteva richiedere anche diversi anni di tentativi, con varie tipologie di trattamento. Il nuovo algoritmo permette invece di orientarsi subito verso la terapia più adatta per ciascun paziente”.

Le probabilità di risposta

Il trattamento dell’acromegalia prevede come primo approccio l’intervento chirurgico, eventualmente seguito dalla terapia medica di prima linea con gli analoghi convenzionali della somatostatina. Qualora il paziente non rispondesse alla terapia medica di prima linea, si ricorre alle seconde linee terapeutiche, con gli analoghi della somatostatina di seconda generazione o l’antagonista recettoriale del GH.

Il lavoro pubblicato su Jcem ha coinvolto 67 pazienti affetti da acromegalia, tutti sottoposti a intervento neurochirurgico e seguiti dagli endocrinologi del Gemelli, presso l’ambulatorio di Patologia ipotalamo-ipofisaria. Il lavoro rappresenta uno spaccato del lavoro quotidiano e multidisciplinare di medici e ricercatori di Fondazione e Università e coinvolge diversi Dipartimenti e Unità operative.

Nello studio – aggiunge Chiloiro – abbiamo integrato tutti i fattori predittivi di risposta e di resistenza alla terapia con analoghi convenzionali della somatostatina, finora noti e i più innovativi biomarker del microambiente tumorale, quali il profilo dell’infiltrato infiammatorio. In questo modo abbiamo costruito un modello matematico e un algoritmo, basato su parametri clinici, biochimici, molecolari e morfologici”.

Tramite il nomogramma derivante dal modello matematico è possibile identificare la probabilità per ciascun paziente di ottenere una buona risposta alla terapia con analoghi convenzionali della somatostatina, integrando i tre fattori di resistenza identificati. Tramite questo strumento i pazienti a rischio di mancata risposta alla terapia di prima linea, con analoghi convenzionali della somatostatina potranno essere indirizzati precocemente a una terapia di seconda linea, riducendo la durata di malattia non controllata.

L’utilità dello questo studio deriva anche dal fatto che tutti i parametri di resistenza individuati sono facilmente acquisibili nel post-operatorio, e questo permette di definire rapidamente il miglior approccio terapeutico per il paziente, riducendo la durata di malattia attiva.

Va sottolineato infatti che la prolungata durata di malattia attiva, nel paziente acromegalico, è un fattore di rischio per la comparsa di comorbilità e complicanze sistemiche, di tipo metabolico (circa il 65% dei pazienti acromegalici è affetto da prediabete o diabete), cardio-vascolare, muscolo-scheletriche con aumentato rischio di fratture vertebrali da fragilità ed anche oncologiche: i pazienti con malattia acromegalica persistentemente attiva sono ad aumentato rischio di tumore della tiroide, della prostata, della mammella e di lesioni pre-cancerose, come polipi del colon.