Partendo da un prelievo di sangue, un test genetico permette di prevedere il rischio di ricaduta nelle pazienti con tumori lobulari del seno, forme che rappresentano il 10-20% dei casi. Succede allo IEO di Milano con LobularCard, il nuovo esame offerto dall’Istituto Europeo di Oncologia.

Il test, spiegano dall’IRCCS, consente “l’analisi di ben 113 geni, rispetto ai 29 geni del test standard, e ottiene una valutazione affidabile del rischio oncologico personale e famigliare”. L’obiettivo è “garantire per ogni paziente percorsi di sorveglianza oncologica migliori e identificare precocemente eventuali recidive per una sempre maggiore possibilità di guarigione, oltre a proteggere i familiari in caso di aumentato rischio di sviluppare un tumore ereditario”.

Il tumore lobulare è il secondo tipo di tumore mammario più frequente e spesso richiede strategie di cura personalizzate e differenti rispetto agli altri tumori mammari. Il progetto dello IEO per il test in Marzo era stato riconosciuto anche dalla Lobular Breast Cancer Alliance, l’associazione americana dedicata allo studio e alla ricerca di questo tipo di tumore del seno.

Stop al silicone

Oltre al test presso l’Istituto milanese proseguono gli studi anche per quanto riguarda le protesi utilizzate in caso di rimozione parziale o totale della ghiandola mammaria. Oggi quasi nove donne su dieci guariscono dal cancro al seno. Tuttavia questo tipo di tumore comporta spesso la rimozione parziale o totale della ghiandola mammaria, a cui spesso segue la ricostruzione. Un intervento che prevede l’utilizzo, per la maggior parte dei casi, di protesi in silicone che hanno indiscussi vantaggi, ma che, di norma, ogni 10/15 anni devono essere sostituite.

In futuro però le protesi potrebbero non essere più di silicone. Anzi, potrebbero proprio non esserci più. In diversi Paesi in Europa, e anche in Italia, si sta lavorando alla sperimentazione e allo sviluppo di una protesi mammaria innovativa e bioriassorbibile.

I primi studi clinici su piccoli gruppi di donne sono già partiti con l’obiettivo di utilizzare materiali biodegradabili realizzati con la stampa 3D che garantiscano l’impalcatura e permettano di far crescere al suo posto il tessuto della paziente. Il materiale a questo punto si riassorbe non lasciando corpi estranei. Una prima protesi interamente biodegradabile è stata impiantata dalla francese Lattice Medical e si aspetta di vedere gli effetti.

Altre aziende in Francia e Israele stanno perseguendo strade analoghe, mentre in Italia lo IEO è coinvolto in uno studio multicentrico che ha come protagonista Tensive, un’azienda italiana specializzata nella chirurgia ricostruttiva. Tensive ha condotto la prima sperimentazione su 15 pazienti che avevano subito una lumpectomia per la rimozione di un tumore non maligno presso l’Azienda Opedaliero Universitaria Pisana. Le pazienti sono state seguite per un periodo che va da 12 a 28 mesi e i risultati si sono dimostrati positivi. Il primo passaggio ha previsto l’utilizzo di piccole protesi, ma in futuro si passerà a protesi più grandi puntando a sostituire il silicone nella mastoplastica additiva.