Il panorama della virtualizzazione open-source vive un momento di cambiamento rapido e Proxmox si trova oggi al centro di questa trasformazione. La sua piattaforma VE (Virtual Environment), nata come alternativa leggera ai colossi del settore, ha guadagnato rilevanza negli ultimi anni grazie al crescente spostamento di VMware verso il segmento enterprise più alto, spinto dalla nuova strategia di Broadcom.

Molte aziende, trovandosi davanti a un modello commerciale sempre più complesso e costoso, hanno iniziato a valutare soluzioni alternative per la gestione della virtualizzazione di base. Proxmox, con il suo approccio trasparente, modulare e completamente open-source, è così diventato il punto di riferimento per chi non ha bisogno di un’infrastruttura estremamente articolata come quella offerta da VMware Cloud Foundation.

La piattaforma Proxmox VE, con il suo supporto nativo a macchine virtuali, container LXC, software-defined storage e networking integrato, ha permesso negli anni di costruire ambienti flessibili e sufficientemente robusti per una vasta gamma di scenari aziendali. Al punto che persino alcuni partner VMware hanno iniziato a utilizzare Proxmox per carichi di lavoro interni che non richiedevano le funzioni più avanzate del portafoglio VMware. Questo movimento dal basso ha mostrato con chiarezza un’opportunità più ampia per Proxmox, ovvero evolvere da semplice soluzione di virtualizzazione a piattaforma cloud privata completa.

La risposta concreta a questa ambizione arriva oggi con il rilascio del primo Datacenter Manager stabile, un passo che apre ufficialmente la strada verso l’orchestrazione multi-cluster e multi-datacenter. Proxmox descrive il nuovo prodotto come uno strumento in grado di offrire una vista aggregata di tutti i nodi e cluster collegati, permettendo di amministrare infrastrutture complesse e distribuite, dalle installazioni locali alle configurazioni su scala globale. È una dichiarazione di intenti precisa che vuole mettere nelle mani degli amministratori un punto di controllo unico e scalabile, una caratteristica fino a oggi appannaggio dei grandi player del cloud privato.

Crediti: Shutterstock

Crediti: Shutterstock

Una delle funzioni più significative introdotte da Datacenter Manager è la migrazione delle macchine virtuali tra cluster indipendenti senza dover riconfigurare manualmente la rete. Una capacità che VMware aveva reso standard più di vent’anni fa e che oggi rappresenta un requisito essenziale per qualsiasi piattaforma che aspiri a gestire ambienti distribuiti con continuità operativa. Con questa funzione, Proxmox dimostra di voler colmare il divario tra la sua tradizione open-source e le necessità avanzate del modern workload management.

Accanto alla migrazione cross-cluster, il nuovo prodotto introduce una serie di strumenti pensati per rendere il controllo delle macchine virtuali più simile a quello di una vera piattaforma cloud. Arrivano infatti sia sistemi di gestione delle flotte di VM, utili per identificare rapidamente macchine che necessitano aggiornamenti o interventi di manutenzione, sia meccanismi di lifecycle management e un pannello di controllo centralizzato, che permette di monitorare tutti gli host e i relativi carichi di lavoro in tempo reale. È un cambio di passo netto rispetto alla gestione cluster-per-cluster a cui gli utenti Proxmox erano abituati.

Il debutto di Datacenter Manager è stato accolto con grande entusiasmo anche dagli operatori specializzati. Bardia Khalilifar, CEO del service provider australiano Multiportal.io, ha sottolineato come questo strumento renda finalmente possibile gestire più installazioni Proxmox per conto dei clienti in modo integrato. Nelle sue parole, c’è la percezione diffusa che questo sia il tassello mancante per rendere Proxmox realmente proponibile in scenari multi-datacenter e per consolidare l’open-source come alternativa credibile nel mercato del private cloud.

Sul piano tecnico, Proxmox Server Solutions GmbH ha sviluppato Datacenter Manager in Rust, una scelta che riflette la crescente attenzione dell’industria verso linguaggi più sicuri e moderni. Anche se l’adozione di Rust non garantisce automaticamente livelli superiori di sicurezza, rappresenta comunque un passo importante per una piattaforma destinata a operare in contesti critici. Il software poggia su Debian Trixie 13.2, utilizza il kernel Linux 6.17 e integra ZFS 2.3.4, mantenendo così la filosofia di affidabilità e trasparenza che ha sempre caratterizzato il progetto Proxmox.