I data center stanno diventando sempre più centrali nel dibattito sulla sostenibilità ambientale. Nonostante l’importanza critica che svolgono nell’infrastruttura digitale moderna, la loro operatività ha infatti un impatto ambientale non trascurabile. L’effetto serra causato dai consumi energetici dei data center è ben noto, ma il loro impatto si estende ben oltre, includendo la gestione dei rifiuti elettronici e l’uso di risorse naturali per la costruzione e il mantenimento delle strutture.

Negli ultimi dieci anni, il consumo energetico dei data center è rimasto sostanzialmente costante, nonostante l’aumento del traffico internet e del carico di lavoro che queste infrastrutture hanno dovuto affrontare. Ciò è stato possibile grazie ai progressi tecnologici che hanno permesso di migliorare l’efficienza energetica dei server e dell’infrastruttura di supporto. Ad esempio, la tecnologia Free Cooling sfrutta l’aria dell’ambiente esterno per raffreddare i server durante i mesi invernali, permettendo un notevole risparmio in termini di costi e di impatto sull’ambiente.

Inoltre, molte aziende stanno cercando di ridurre il proprio impatto ambientale aumentando la quota di energia elettrica che proviene da fonti rinnovabili. Microsoft, ad esempio, si è impegnata a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2030 e ha annunciato piani per compensare tutte le emissioni di CO2 prodotte dall’azienda sin dalla sua fondazione.

Nonostante questi progressi, l’industria dei data center deve affrontare sfide significative e gli scenari futuri sono a dir poco allarmanti. L’energia utilizzata per il mining di Bitcoin, ad esempio, è stimata essere pari a circa 150 TWh annui, equivalenti al consumo energetico dell’intera Polonia. Questo comporta l’emissione di circa 75 milioni di tonnellate di CO2, una quantità decisamente non trascurabile. Anche i servizi di streaming come Netflix possono avere un impatto significativo. Si stima che guardare un film su Netflix possa generare tra 25 e 57 grammi di CO2 per mezz’ora di streaming, a seconda della qualità del video.

sostenibilità

C’è poi la grande questione dell’intelligenza artificiale. Le big tech che hanno aumentato il loro inquinamento digitale sono infatti quelle che stanno investendo di più nell’IA. In tre anni (dati 2020, 2021, 2022) Microsoft, con 16,7 milioni di tonnellate, ha registrato un +41,8%, percentuale che sale a +66% per Meta e a +104% per Nvidia (2,7 milioni di tonnellate di CO2 annue).

Amazon ha prodotto più di 71 milioni di tonnellate, in aumento del +17,5%, mentre Google (in netta controtendenza) ha fatto segnare un inaspettato -1,3% (10,1 milioni di tonnellate). La più virtuosa è senza dubbio Apple, che con 20,6 milioni di tonnellate di Co2 emesse ha ottenuto una riduzione del -8,8% delle emissioni tra il 2020 e il 2022.

Un totale che, come evidenza il 3° rapporto 2024 dell’Osservatorio Esg Big Tech di Karma Metrix, porta le emissioni di Co2 di queste cinque big tech a superare quelle della Repubblica Ceca (130,1 milioni di tonnellate) e a consumare più energia di paesi come Belgio o Cile (91 milioni di MWh).

Anche la quantità d’acqua necessaria per raffreddare i data center delle big tech non va assolutamente trascurata. Soltanto Google nel 2022 ha consumato oltre 21 milioni di metri cubi d’acqua (il 63% in più rispetto al 2019), una quantità che basterebbe a dissetare per un anno circa 24 milioni di persone.

Per affrontare queste sfide, è necessario un maggiore impegno da parte delle aziende nel dichiarare i propri consumi e specificare se le fonti energetiche a cui si approvvigionano sono rinnovabili. Inoltre, le istituzioni dovrebbero fornire un’adeguata formazione ai cittadini per aumentare la loro consapevolezza dell’impatto energetico del digitale e fornire i giusti strumenti tecnologici e culturali per affrontare questa sfida.