Sono avari delle loro ricchezze, ma quando si tratta di perdere tempo, sprecano l’unica cosa di cui dovrebbero essere avari”. Così duemila anni fa scriveva il filosofo romano Seneca a proposito dei propri facoltosi concittadini, tanto preoccupati di preservare i rispettivi patrimoni quanto incapaci di utilizzare con saggezza il tempo.

Detto, fatto: nel ventunesimo secolo la rivoluzione delle applicazioni Ict non ci fa sprecare nemmeno un secondo delle nostre giornate.

Ѐ quanto emerge, in particolare, dai dati anticipati dal Rapporto It di 2015 di AbiLab, da cui si evince che il nuovo fronte dell’ottimizzazione temporale, resa possibile dai tablet e dagli smartphone eternamente connessi alla Rete, è rappresentato dalla banca digitale.

Lasciando da parte le suggestioni lanciate dai tecnici esperti, che parlano della prossima comparsa, nelle città, di sportelli Atm parlanti, è pur vero che negli ultimi mesi i nostri istituti di credito hanno compiuto passi notevoli in direzione dell’automatizzazione di molti processi: tutto si gioca attorno alle app mobile per l’accesso diretto al conto corrente e al variegato mondo dei social network.

Stando alle cifre consegnate dal Rapporto AbiLab, infatti, il 60% delle banche prese in esame dal campione investirà nel 2015 le medesime somme sborsate nell’anno precedente, mentre il 40% aumenterà la spesa, per un totale di quattro miliardi di euro attesi nelle casse dei vendor di tecnologie It.

Più nel dettaglio, la predisposizione all’informatizzazione delle procedure risulta maggiore negli istituti medio-piccoli, che forse contano, in questa maniera, sull’opportunità di recuperare parte della redditività persa negli scorsi anni, e riguarda anzitutto la priorità di restituire margini di profittabilità al settore, attraverso sette parole chiave: qualità, velocità, semplicità, flessibilità, visibilità, caring, costi.

Il pubblico segue il trend, se è vero che, dati alla mano, il 98% dei bonifici effettuati dai clienti CheBanca! avviene da remoto e il 40% dei nuovi correntisti del Gruppo Bpm proviene dalle file della divisione online Webank; oppure, ancora, se un terzo degli utenti oggetto dell’indagine AbiLab dichiara di ricorrere quotidianamente a Internet, wired o mobile, per sbrigare la propria amministrazione finanziaria.

Ma siamo sicuri che vada tutto bene?

Qual è la contropartita di un mondo perennemente online? Siamo sicuri che “meno” tempo impiegato equivalga a tempo “meglio” speso?

I dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità rispetto alla nuova patologia dell’elettrosensibilità qualche dubbio ce lo pongono, soprattutto se a soffrirne è un numero preoccupante di cittadini della Lombardia: trecentomila in tutta la regione.

Nello specifico, si tratta della ipersensibilità degli individui alle onde elettromagnetiche emesse dai dispositivi It, con effetti deleteri sul benessere psicofisico della persona, tra cui formicolii alla testa, dolore agli occhi, spasmi muscolari.

La medicina ufficiale non è ancora stata in grado di provare la relazione causale diretta tra i sintomi manifestati dai soggetti colpiti e l’esposizione prolungata agli input elettromagnetici, ma certo l’aumento delle tecnologie wireless non fa dormire sonni tranquilli a chi, di elettrosensibilità, invece si ritiene malato. Come Annunziata Di Fonte, medico del lavoro, che racconta: “Tollero il wi-fi per un quarto d’ora, poi comincio a sentire calore e mal di testa. Purtroppo la malattia ha un impatto notevole sulla mia vita: in macchina, quando incrocio i ripetitori, ho delle scosse muscolari e fatico a concentrarmi. E poi non posso più viaggiare in treno, né andare al cinema: troppi smartphone collegati alla Rete. So come comportarmi perché sono un medico, gli altri malati no”.

Quest’ultimo forse è un caso limite, che tuttavia ci ricorda come il progresso è una macchina che va guidata. Bene o male dipende da noi.