Il concetto di Bring Your Own Device (letteralmente ‘portati il tuo device’) è ormai da qualche anno tra i più temuti dai responsabili IT. Parliamo del fenomeno a causa del quale il perimetro dell’infrastruttura di rete aziendale è oggi affollatissimo di dispositivi personali, sui quali transitano informazioni di ogni sorta legate al business, talvolta senza alcun controllo.

L’origine del termine risale al 2010, quando la diffusione dei primi smartphone e il calo dei prezzi e del peso dei notebook invogliò molti dipendenti di grandi aziende negli USA a impiegare per lavoro anche strumenti personali, trasferendovi dati aziendali e connettendoli alla rete della società per navigare sul Web. A favorire il fenomeno furono quindi la diffusione del wireless, l’uso pervasivo di Web e social network anche per lavoro e il costante miglioramento delle prestazioni dei dispositivi mobili. Se prima erano infatti le società a fornire ai dipendenti le tecnologie migliori per lavorare, oggi è più probabile che il tablet, lo smartphone e il notebook personali siano più veloci ed efficienti di quelli messi a disposizione dal reparto IT, che non potrebbe sostenere la corsa all’ultimo modello tipica del mondo consumer.

Le prime reazioni a un fenomeno che appare tuttora in crescita esponenziale non sono state sempre composte. Alcune aziende hanno tentato inutilmente di applicare policy fortemente restrittive e mortificanti per gli impiegati, altre hanno investito molto denaro per acquistare i dispositivi da lasciare a disposizione dei dipendenti a patto che si prestassero ad accettare alcune limitazioni alla privacy e un certo controllo sull’uso dei dati aziendali.

buona parte delle violazioni alla sicurezza aziendale sono provocate dall’impiego indiscriminato di dispositivi personali

I pericoli connessi al Byod sono infatti ben noti. Le indagini più recenti sono concordi nell’attribuire all’impiego indiscriminato di dispositivi personali buona parte delle violazioni alla sicurezza aziendale. Basti pensare che è sufficiente collegare uno smartphone a una rete aperta e non sicura per comprometterlo e trasformarlo in un cavallo di troia con cui aggirare i sistemi di sicurezza della società. In mancanza di una policy precisa che ne regolamenti l’utilizzo, la commistione tra dati personali e aziendali diventa rapidamente incontrollabile, rendendo inevitabile la diffusione di informazioni sensibili o riservate.

Un altro problema legato al Byod è lo spreco delle risorse aziendali, in particolare della banda di rete e della potenza di calcolo dei server, per gestire un numero di dispositivi difficilmente prevedibile, molti dei quali intenti in attività di download di app o contenuti multimediali anche molto impegnative e non necessariamente legate all’attività di business.

La soluzione non è un contrasto diretto del fenomeno, bensì un progetto per governarlo e sfruttarne i vantaggi, per esempio stimolando la collaborazione dei dipendenti al rispetto delle regole in cambio di una condivisione delle spese di utilizzo dei dispositivi e creando all’interno dei device personali aree sicure dove operare solo con le app aziendali.

Per le aziende che per prime hanno adottato politiche Byod, infatti, si sono aperti anche scenari decisamente positivi, come un significativo aumento della produttività, una maggiore gratificazione per i lavoratori e una sensibile riduzione del tempo di apprendimento di nuove tecnologie.

Del resto il fenomeno non è più arginabile e fa parte di un naturale processo di trasformazione del mondo del lavoro, sempre meno confinabile in uffici tradizionali e orari predefiniti. Un cambiamento capace di garantire uno scenario win-win, in cui all’offerta di maggiore libertà e individualità i lavoratori rispondono con ritmi di lavoro più sostenuti e una reperibilità molto più ampia rispetto alle canoniche otto ore.