Veeam ha avviato in questi giorni a Milano il VeeamON Tour Roadshow 2019 italiano, che prevede tappe a Padova, Roma, Firenze e Bari.

Il Tour ha l’obiettivo di aggiornare partner e clienti sugli ultimi sviluppi dell’offerta, e di dare voce ai principali alleati tecnologici (tra cui Cisco, HPE e Lenovo) e ad alcuni clienti italiani. Veeam ha ormai un posizionamento consolidato anche in Italia – dove è presente da 10 anni – come fornitore di soluzioni di backup per ambienti di cloud ibrido e multi cloud a supporto di modelli di “Intelligent Data Management”.

In particolare l’evento di Milano, che ha registrato 400 iscritti, è stato anche l’occasione per Albert Zammar, Vice President SEMEA, per fare il punto sull’andamento di Veeam in Italia, e per commentare i dati italiani del “Veeam Cloud Data Management Report 2019”, un’indagine sulle strategie di gestione e protezione dei dati in 1575 aziende oltre i mille dipendenti di 13 paesi, tra cui 125 italiane.

300 clienti al mese nell’ultimo trimestre

“In Italia nel primo trimestre 2019 Veeam ha acquisito oltre 300 clienti al mese, per cui oggi ha oltre 23mila clienti su un mercato potenziale di circa 200-230mila – ha detto Zammar – Sono ottimi numeri, soprattutto in termini di redemption, che derivano da diversi fattori, tra cui l’agilità della struttura, che conta 25 persone, le alleanze tecnologiche, il livello di soddisfazione dei clienti già acquisiti, e la semplicità della tecnologia, e soprattutto la fidelizzazione dei partner”.

In 10 anni di Veeam Italia, continua Zammar, sono oltre 3000 i partner che hanno concluso almeno una transazione, ovviamente di tipologie molto diverse. “Quelli di fascia alta hanno investito molto sia in programmi commerciali sia in risorse tecniche e certificazioni: non sono più di 20 quelli con una offerta completa – dai servizi di prevendita, alla proposta commerciale diretta, fino all’assistenza – e in grado di adattarla sia alla piccola impresa sia alla multinazionale”.

Quanto al “Veeam Cloud Data Management Report 2019”, abbiamo parlato diffusamente delle conclusioni generali in questo articolo. Qui invece ci concentriamo solo sui dati relativi alle aziende italiane intervistate (che come accennato sono 125), commentati da Zammar.

In Italia il downtime medio dura 52 minuti

“Nonostante l’esplosione dei volumi di dati da gestire e i grandi investimenti di data management pregressi, il 45% delle aziende italiane non riesce a rendere i dati e le applicazioni sempre disponibili agli utenti, e il 42% avverte un gap tra la velocità di accesso effettiva e quella necessaria per essere una always-on enterprise”, ha detto il VP SEMEA di Veeam.
Dal report emerge che anche un’ora di disservizio ormai ha costi enormi, non solo finanziari. In Italia un downtime dura in media 52 minuti, e ha un costo orario di 101.800 dollari, cioè al cambio attuale oltre 90mila euro: il costo medio annuo dei downtime per la singola azienda è di 17,9 milioni di dollari, cioè 15,8 milioni di euro. Praticamente un’azienda su due (49%) definisce “intollerabile” un’indisponibilità oltre i 60 minuti per un’applicazione high priority.

I tempi di downtime sopportabili dalle aziende italiane (IT) e a livello mondiale (WW) secondo il Veeam Cloud Data Management Report 2019

I tempi di downtime sopportabili dalle aziende italiane (IT) e a livello mondiale (WW) secondo il Veeam Cloud Data Management Report 2019

“Gli executive italiani hanno piena consapevolezza dell’impatto sul business delle indisponibilità di dati e applicazioni informatiche: i downtime infatti secondo loro provocano nell’ordine perdita di fiducia dei clienti, danni all’immagine del brand, perdita di fiducia dei dipendenti, vulnerabilità ad azioni legali, e il rischio di revoca di licenze, compliance e certificazioni”.

Come scongiurare questi rischi? “Tutti i manager italiani intervistati nel report ritengono che un approccio di “smart data management” avrebbe un impatto positivo sul business – risponde Zammar –. E per smart data management si intende il controllo costante dei propri dati, la possibilità di recuperarli sempre nei tempi previsti dagli SLA, la capacità di spostare velocemente workload da una piattaforma all’altra”.

Investimento medio: 62 milioni l’anno

Tutti d’accordo quindi sulla necessità di investire in tecnologie digitali, e in particolare cloud, per la gestione dei dati. Anche se alla prova dei fatti, i progetti innovativi in Italia secondo gli intervistati sono ostacolati da sistemi e tecnologie legacy (71%), mancanza di tempo (38%) o di budget (33%), e scarso coinvolgimento del senior management (39%).

“La nota positiva però – sottolinea Zammar – è che nonostante tutto il 92% delle imprese italiane ha progetti di cloud data management in corso o li avvierà entro il 2019, con un investimento medio di 62 milioni di dollari in iniziative “transformational” che comprendono non solo hardware e software ma anche change management, formazione e riorganizzazione di strutture e processi”.