OVH è diventata grande e festeggia i 20 anni di vita con il nuovo nome OVHcloud che adegua il brand alla realtà: ormai il 70% dei circa 600 milioni di euro di fatturato proviene appunto dai servizi Cloud. Ma che soprattutto sintetizza la volontà di proporsi come fornitore Cloud europeo alternativo alla dominanza degli operatori americani (leggi Amazon Web Services, Google Cloud, Microsoft Cloud) e cinesi (Alibaba) nel settore.

Al suo settimo Summit annuale a Parigi, davanti a 10mila persone tra partner e clienti (3mila sul posto e 7mila in streaming), OVHcloud ha infatti coronato la sua trasformazione. Da impresa familiare francese di hosting – fondata nel 1999 nella cittadina di Roubaix dall’allora 23enne studente Octave Klaba, immigrato dalla Polonia con tutta la famiglia pochi anni prima – a multinazionale dei servizi Cloud. Un cambio di marcia varato nel 2017 con l’acquisizione di vCloud Air, il business IaaS di VMware, e il reclutamento di un’intera squadra di manager di esperienza, compreso il CEO Michel Paulin. Mentre Klaba, con la carica di chairman, continua a definire le strategie e la ricerca e sviluppo.

OVHcloud CEO Michel Paulin

Michel Paulin, CEO di OVHcloud

La “guerra” tra GDPR e Cloud Act

È quindi il momento giusto per proporsi, anche su richiesta del Governo francese e della Comunità Europea, come paladina di un’alleanza europea di fornitori di servizi “trusted cloud”, basati su un codice di condotta in cui il fornitore si impegna a precisare al cliente dove sono i suoi dati e come sono trattati, e a proteggerli da accessi anche extra-territoriali, “cosa che il GDPR non permette ma il Cloud Act, il suo equivalente USA, in alcuni casi sì”, ha detto Paulin. “Un deputato francese non a caso ha detto che c’è una guerra tra GDPR e Cloud Act”.

“La competizione mondiale nei settori tecnologici ha raggiunto livelli di ferocia senza precedenti, con due poli principali: gli USA e la Cina”, ha sottolineato Cédric O, Segretario di Stato per il Digitale del Governo francese, intervenendo al Summit. “Un imperativo per l’Europa e la Francia è mantenersi competitive con questi concorrenti, e OVHcloud è importante in questo quadro perché è già competitiva e ci è riuscita da sola”.

Dal punto di vista tecnologico, all’evento OVHcloud ha ribadito la sua strategia “smart cloud”, dove smart sta per simple (“tutti i nostri servizi sono acquistabili online sul nostro sito”, ha detto Paulin), multilocal (30 data center in 4 continenti, e altri 5 in costruzione), accessible (“assembliamo i server per conto nostro, 400mila server all’anno: questo ci permette il controllo dell’intera value chain e quindi un vantaggio competitivo sulle tariffe”), reversible (“il Cloud non dev’essere una gabbia, il multicloud è il futuro, dati e workload devono essere trasferibili facilmente”), e transparent (“sia in termini di prezzi che di data protection”).

Arriva Managed Kubernetes

Più specificamente, il fornitore francese ha annunciato innovazioni in tutti i quattro “universi” in cui articola la sua offerta: Enterprise, Public Cloud, Server e Web Hosting. Per Enterprise, la gamma di server Bare Metal sarà completamente rinnovata e arricchita da cluster dedicati su rete privata con performance garantite e API standard per un’ulteriore automatizzazione. Inoltre a breve l’azienda aggiornerà tutti i suoi server dedicati top di gamma con CPU di ultima generazione Intel Cascade Lake e AMD Epyc 2nd generation.

In ambito Public Cloud, la principale novità è l’estensione a tutte le regioni del servizio Managed Kubernetes, con cui OVHcloud si occupa di implementazione, hosting e mantenimento dei componenti necessari al funzionamento del più diffuso sistema di orchestrazione dei container. In Francia, dove l’azienda lo ha sperimentato finora, il servizio ha registrato crescite del 40% al mese.

Cluster di server gestiti come uno solo

Quanto ai server, tra gli annunci più significativi c’è la nuova linea Infrastructure, che permette di gestire cluster di server come se fossero server singoli, rivolta a chi – grandi imprese, centri di ricerca, università – necessita appunto di architetture cluster. I Server Infrastructure saranno dotati delle nuove tecnologie OLA (OVHcloud Link Integration) per aggregare le interfacce di rete di ogni server e aumentarne la disponibilità, isolandolo dalla rete pubblica, e Intel SGX, per creare parti della memoria fisica (enclave) totalmente isolate a livello fisico, dove anche i dati in uso si possono crittografare. Inoltre a inizio 2020 sarà lanciata una nuova offerta di Virtual Private Server con diverse gamme e opzioni tra cui backup automatizzato e SLA del 99,9%.

Infine nell’offerta Web Hosting, rivolta a singoli, piccole imprese e startup, sono previste interfacce di gestione più intuitive e un website coach per aiutare a migliorare le performance dei propri siti, nonché un marketplace con soluzioni SaaS dei partner.

Da segnalare poi anche l’estensione dell’OVHcloud Partner Program a livello internazionale, con adesioni tra cui Thales, Capgemini, Deloitte, e l’italiana Skybackbone Engenio. L’Italia è uno dei primi paesi in cui il programma è stato lanciato: nei prossimi giorni torneremo su questo tema con un’intervista Benoit Amet, OVHcloud Partner Program Director.

Intervista con il CEO Michel Paulin

Ai margini del Summit abbiamo anche potuto approfondire alcuni punti del posizionamento e della strategia – anche in Italia – di OVHcloud con il CEO Michel Paulin.

“Il cambiamento del nome non è una rinuncia all’hosting: il punto è che ormai siamo soprattutto un fornitore cloud, ma per questa cosa nel mondo enterprise per ora è ben percepita solo in Francia. Per questo stiamo investendo per promuovere la nostra offerta in Italia, Spagna, Polonia, Germania, UK, Canada e Asia Pacifico. Anche gli USA sono un mercato importante, ma fanno storia a sé perché la concorrenza è fortissima”.

A questo proposito, Octave Klaba ha spiegato all’evento il motivo del suo trasferimento a Dallas (Texas) all’inizio di quest’anno. “Dallas è equidistante dai nostri due data center in USA ed è una delle sedi principali di vCloud Air: la fusione non dava i risultati sperati a causa di un conflitto di culture che ho voluto affrontare, con 80 riunioni in 6 mesi, per spiegare la nostra visione e il nostro concetto di lavorare insieme al personale, ai partner e ai clienti locali”.

L’espansione in USA però, ci ha ribadito Paulin, non significa che OVH sarà “un po’ più americana”. “Comunque le nostre radici sono e rimarranno in Europa. I nostri valori sono l’apertura, la trasparenza, il GDPR, e l’open source che è soprattutto europeo”.

Quando il Public Cloud sembrava la soluzione per tutto

Quanto al rapporto con Klaba, “oggi lui si occupa di articolare la strategia, segue direttamente la ricerca e sviluppo, è eccellente in questo perché è un “geek”, non nell’accezione più tecnica ma in quella dei trend di mercato e tecnologici. Per esempio 3-4 anni fa c’è stata l’esplosione del public cloud, sembrava la soluzione per tutte le esigenze delle aziende, ma proprio allora Octave decise di lanciare un’offerta di hosted private cloud perché era convinto del contrario. Diceva per esempio che nessuno migrerà mai un’applicazione mainframe in cloud, e che la soluzione giusta è l’hybrid cloud, e i fatti gli stanno dando ragione. Anch’io sono un tecnico, ma non un geek: ho grande esperienza di mercato. Quindi i nostri punti di vista e approcci al mercato sono complementari e costruttivi, parliamo praticamente ogni giorno”.

OVHcloud Summit 2019 Octave Klaba plays

Octave Klaba è anche appassionato di musica, e ha concluso così l’OVHcloud Summit 2019

Uno degli elementi distintivi di OVHcloud è l’integrazione verticale quasi completa dei data center, che parte dall’assemblaggio dei server (con capacità produttiva di ben 400mila server all’anno). “Nonostante la forte standardizzazione in questo campo, con il nostro modello il data center può ancora garantire vantaggi competitivi. Al Summit Deloitte ha raccontato la creazione di una practice che svilupperà soluzioni basate sul nostro cloud. Uno dei motivi per cui ha selezionato OVHcloud è la nostra eco-friendliness. I data center ce li costruiamo noi, il sistema di raffreddamento è proprietario e brevettato, basato sull’acqua: non abbiamo condizionatori nè ventilatori, usiamo il 10-15% di energia in meno rispetto ai classici data center, con un indice PUE di 1,09 contro l’1,2 dei data center di ultima generazione”.

“In Italia crescita oltre il 30%”

Quanto infine alla strategia di internazionalizzazione, “stiamo investendo per andare incontro alle esigenze soprattutto dei digital native e dell’area enterprise. Per il primo abbiamo formato un team che si rivolge a startup, scale-up e incubator con uno “startup program” di iniziative per aiutarli al meglio a usare i servizi cloud. Per il secondo abbiamo creato un team di sales, presales, consultant, che aiuti clienti e partner a sviluppare soluzioni, facendo leva anche sul “partner program”. Questa strategia, in corso in molti paesi, al momento sta dando grandi risultati soprattutto in Italia e Spagna”.

A proposito dell’Italia, “è in crescita di oltre il 30% annuo come la Spagna, ma mentre in Spagna va forte la parte server, in Italia è esplosa la domanda di servizi cloud, private e public. In Italia stiamo valutando anche la costruzione di un data center, così come per la Germania: il Cloud Act genera molta preoccupazione, c’è forte domanda di servizi cloud che assicurino la conformità con il GDPR anche in termini di collocazione fisica e accesso ai dati. Non è tanto una questione se faremo il data center, ma quando”.