Si chiuderà domani l’OpenStack Summit di Tokyo, un evento in cui migliaia di sviluppatori, architetti, amministratori di sistema e professionisti hanno discusso e condiviso le novità legate a OpenStack, una delle tecnologie open source a più rapida crescita e popolari dalla nascita di Linux. Se è innegabile l’impatto che OpenStack ha su IaaS e sulle infrastrutture di cloud computing, anche quello dello storage software-defined sullo stesso OpenStack sta diventando sempre più significativo.

Si può pensare a OpenStack come a un treno giapponese ad alta velocità che corre lungo una ferrovia appena costruita, come succede agli investimenti nel cloud computing previsti in ulteriore crescita ad un CAGR (Compound Annual Growth Rate) del 30% dal 2013 al 2018, rispetto al 5% dell’IT enterprise nel suo complesso. Inoltre, si prevede che entro il 2016, circa l’80% delle aziende di tutto il mondo utilizzerà IaaS. L’unico problema è quello di riuscire a prendere il treno OpenStack con la dovuta attenzione, ed è proprio qui che lo storage software-defined entra in scena.

Sempre utilizzando la metafora del treno in corsa, se le aziende implementano il cloud in modo errato, potrebbero mettere a repentaglio dati fondamentali per il loro stesso business. Per salire sul treno del cloud, devono insomma acquistare il biglietto appropriato che in questo caso è rappresentato dallo storage software-defined.

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Spesso infatti le tradizionali architetture NAS e SAN si rivelano troppo rigide sia pensando alla loro area di azione, che alla loro progettazione. Le appliance storage possono essere ad alte prestazioni, ma sono generalmente proprietarie, monolitiche, hardware-based e ricche di elementi complessi, non particolarmente adatte alla scalabilità di petabyte, e questo porta alla creazione di silos di dati isolati che non sono in grado di adattarsi ai carichi di lavoro OpenStack di nuova generazione. È a questo punto che bisogna prendere in seria considerazione lo storage software-defined.

Lo storage più utilizzato dagli operatori e sviluppatori di applicazioni OpenStack è senza dubbio Ceph. Red Hat Ceph Storage e Red Hat Gluster Storage sono gli elementi che compongono il portfolio Red Hat Storage, un insieme di soluzioni software-defined offerte e realizzate da Red Hat in collaborazione con la comunità open source.

Ceph offre funzionalità unificate di infrastruttura atte a gestire storage a blocchi, a oggetti e a file sotto lo stesso ombrello e questo grazie alla sua stretta integrazione con l’architettura modulare di OpenStack e i suoi componenti chiave sia per lo storage di breve durata, sia per quello persistente, tra cui Nova (elaborazione), Cinder (blocchi), Glance (immagini), Swift (oggetti) e Manila (file). Inoltre Ceph è altamente scalabile per poter gestire petabyte di dati ed è configurabile in modo flessibile per rispondere al meglio a esigenze di storage quali applicazioni e modifiche di implementazione.

Non va infine dimenticato che l’architettura di Ceph (incluso il dispositivo di storage a blocchi) precede OpenStack e ha rappresentato in realtà l’ispirazione per il livello di astrazione storage Cinder block di quest’ultimo. Ciò la dice lunga su logica e idoneità che stanno alla base delle due tecnologie, comprese le soluzioni di livello enterprise come Red Hat Ceph Storage combinata con Red Hat Enterprise Linux OpenStack Platform o le infrastrutture cloud di Red Hat.