La piattaforma di orchestrazione dei container Kubernetes è ora in produzione nel 78% delle aziende intervistate dalla Cloud Native Computing Foundation (CNCF). È un’adozione veloce e quasi “folle” contando che solo un anno fa era il 58% delle aziende a gestire Kubernetes in produzione secondo il rapporto del CNCF del 2018.

Questo dimostra la potenza dei container man mano che le aziende cercano di migliorare il modo in cui sviluppano le applicazioni. Sottolinea inoltre quanto sia diventato fondamentale l’open source per l’adozione di tecnologie su larga scala.

La comunità di Kubernetes

Il segreto della popolarità di Kubernetes non è in realtà un segreto: la comunità. Kubernetes non è stato il primo strumento simile sul mercato (Mesosphere e Docker ottengono questo onore), né era l’unico strumento di orchestrazione di container open source sul mercato quanto è nato. A differenza degli altri, però, era aperto. È possibile essere open source ma avere una governance chiusa, contrastando gli aspiranti collaboratori (e i concorrenti). Google, tuttavia, ha adottato una tattica diversa. Mentre infatti ciascuno degli altri strumenti di orchestrazione comporta una forte dose di influenza da parte di un singolo fornitore, Kubernetes beneficia dell’approccio pratico di Google allo sviluppo continuo, nonché della sua ingegneria originale.

Google rimane oggi il singolo maggiore collaboratore di Kubernetes, seguito da VMware e Red Hat (misurando i contributi dello scorso anno). Ma Kubernetes non riguarda più Google. Neanche da vicino. Esistono infatti oltre 35.000 collaboratori distribuiti in oltre 2.000 aziende con oltre 1,1 milioni di contributi. Sono numeri davvero impressionanti.

Quel successo non è arrivato perché Google ha inventato una fantastica tecnologia di orchestrazione dei container. Dopotutto, la società aveva gestito i container utilizzando un equivalente (Borg) per un decennio. Tanto che è assurdo pensare che un Kubernetes non open source avrebbe potuto aspirare a questi risultati. Tale fenomeno si traduce in una comunità di sviluppo molto attiva. Secondo Marek Kuczyński, “è diventato molto più semplice implementare Kubernetes ovunque grazie all’ampia adozione, e la comunità sta sviluppando/migliorando il progetto ad altissima velocità”.

Il club Kubernetes

Quest’anno CNCF ha ricevuto 1.337 risposte distribuite in modo piuttosto uniforme in tutto il mondo. Gli intervistati lavorano anche per organizzazioni di tutte le dimensioni, sebbene la percentuale maggiore (30%) provenga da aziende che impiegano più di 5.000 persone. Set di campioni ragionevolmente diversificato, giusto? Bene, non proprio. Circa due terzi degli intervistati lavorano infatti nelle industrie del software e della tecnologia.

Questo pregiudizio si presenta in alcune domande, ad esempio dove gli intervistati eseguono le loro applicazioni. Il 62% ha risposto nel “cloud pubblico”, nonostante il fatto che la maggior parte della spesa IT (fino al 97% del mercato IT globale da 3,7 trilioni di dollari) rimanga locale. Qui sotto possiamo vedere due grafici con l’adozione di container dal 2016 allo scorso anno. Per quei carichi di lavoro di produzione, le aziende sono sempre più a loro agio nel gestire grandi quantità di container.

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Con questo background, ha senso che l’adozione di Kubernetes sia salita da circa il 50% nel 2017 al 58% nel 2018 e infine al 78% nel 2019. Le grandi aziende stanno abbracciando i container su larga scala e hanno bisogno di modi potenti per ridimensionarli. Kubernetes offre questi modi.

Ma non si tratta davvero di tecnologia. O meglio non riguarda esclusivamente la tecnologia. Il maggiore ostacolo all’adozione dei container, secondo gli intervistati dall’indagine CNCF, è il cambiamento di cultura. Per costruire veramente in modo nativo nel cloud, le aziende devono cambiare il modo in cui pensano alle applicazioni e a come svilupparle, distribuirle e gestirle. Kubernetes, in quanto ampia rete di sicurezza della comunità, fa probabilmente più della semplice tecnologia possa per fornire assistenza agli aspiranti adottanti. La comunità, in breve, è la ricetta segreta di Kubernetes e ciò è dipeso al 100% dalla decisione iniziale di Google non solo di puntare sull’open source, ma anche di adottarne una governance aperta.