Dopo essersi appoggiato da sempre ai server AWS (Amazon Web Servivces), Dropbox ha finalmente completato il progetto Magic Pocket dopo un lungo percorso di quasi tre anni e, come risultato, da oggi la società di cloud storage è arrivata a conservare il 90% dei dati dei suoi clienti su una propria infrastruttura.

Il cordone ombelicale che ha legato Dropbox ad AWS non si è insomma del tutto reciso, sebbene la nuova infrastruttura propria sia diventata largamente maggioritaria. Sarà infatti ancora Amazon a fornire l’infrastruttura di storage che Dropbox userà per memorizzare fisicamente in Europa i dati dei suoi utenti business europei che lo richiederanno.

A fornire diversi dettagli sul nuovo corso della società è stato Akhil Gupta, Vice President of Engineering di Dropbox, che ha specificato come la memorizzazione dei file sia sempre stata suddivisa in due distinti ambiti: da un lato il file veri e propri sullo storage di AWS, dall’altro i metadati collegati ai file e agli utenti ospitati sui server dei datacenter propri di Dropbox.

Visto che attualmente la quantità di dati gestita da Dropbox ha superato i 500 petabyte, la decisione di passare quasi interamente a un’infrastruttura propria è stata quasi obbligata. In questo modo infatti, come ha dichiarato Gupta, Dropbox può controllare tutto lo stack software/hardware che supporta i suoi servizi e ottimizzarlo per dare migliori prestazioni ed economie di scala.

Il progetto Magic Pocket è partito da zero, dal momento che, come ha dichiarato Gupta, “non c’era nulla nella comunità open source che abbia dimostrato di operare in maniera affidabile alla nostra scala”. Dall’estate del 2013 Dropbox ha così cominciato a lavorare a un prototipo che è diventato operativo solo un anno dopo, anche se è solo dal febbraio dello scorso anno che Dropbox ha cominciato a usarlo su larga scala staccandosi progressivamente da AWS.