Nella tecnologia, ci piace fingere che ogni problema possa essere ricorrendo ad hardware più potente o a software più completo e versatile. Partiamo dal presupposto che gli insight appariranno magicamente dai dati se applichiamo la forza bruta di algoritmi e server e crediamo, sbagliando, che le applicazioni possano passare allegramente da un cloud all’altro senza colpo ferire. In sintesi, dimentichiamo che la tecnologia riguarda soprattutto le persone e ciò che fanno con quella tecnologia.

Per chi ha scelto di dimenticare questa verità, l’analista di Gartner Lydia Leong ci ricorda chiaramente che questa questione delle persone si applica anche al cloud. L’indagine di Anaconda suona lo stesso campanello d’allarme per la scienza dei dati, con il 90% degli intervistati che riconosce le preoccupazioni per il potenziale impatto di una carenza di talenti e il 64% che esprime preoccupazione per la capacità della propria azienda di reclutare e trattenere talenti tech. Anche nella terra (mai così abbondante) dell’open source abbiamo un problema simile e in tale ambito le preoccupazioni sulla sostenibilità dovrebbero essere focalizzate sulla cura dei singoli manutentori del progetto. Riconoscere nel mondo del cloud che le persone contano può aiutarci a essere più pragmatici su come affrontare la strategia cloud e le persone che la implementano.

Realtà multicloud

Gran parte del marketing multicloud negli ultimi anni ha avuto più a che fare con ciò che i fornitori volevano vendere rispetto a ciò che i clienti potevano realisticamente implementare. Abbiamo passato troppo tempo a parlare di una singola app che funzionava senza soluzione di continuità su più cloud e non abbastanza a lungo a pensare a chi fosse in grado di creare una cosa del genere. Certo, specifici fornitori di software-as-a-service possono occuparsi di tutta la complessità sottostante (ad esempio, l’elaborazione in un cloud è molto diversa dall’elaborazione in un altro), garantendo che il livello di dati sia coerente tra i cloud. Potete anche passare a un’architettura basata su microservizi come ha fatto Snap, che può rendere fattibile scegliere diversi cloud per ospitare servizi specifici.

Ma non illudiamoci che tutto ciò sia semplice. Infatti, come sottolinea Adam Jacob, CEO di System Initiative, “il multicloud come strategia per una singola app sembra essere ormai morto. Invece, si tratta di scegliere il cloud giusto per l’applicazione in base a ciò che può essere riprogettato”. Questo non è sempre vero (come accennato, i provider SaaS possono fornire multicloud per una singola app occupandosi del livello dati o di altri aspetti dell’applicazione), ma è molto più vicino alla realtà rispetto al vecchio marketing del multicloud, per il quale le app giravano magicamente su più cloud. Come osserva inoltre Ian Massingham di Aiven, “i clienti non volevano diffondere le applicazioni su più provider, ma i fornitori legacy volevano davvero che pensassero che fosse una buona idea”. È un fatto positivo questa presa di coscienza su cosa sia davvero il multicloud, ma il problema è che non abbiamo ancora personale per gestirlo.

multicloud

Carenza di talenti

“Il divario di skill cloud ha raggiunto un livello critico in molte organizzazioni”, sostiene Leong. “Le tempistiche organizzative per l’adozione del cloud, la migrazione al cloud e la maturità del cloud sono influenzate dall’incapacità di assumere e trattenere le persone con le qualifiche necessarie”. Tali carenze sono abbastanza difficili da risolvere per un cloud all’interno di un’organizzazione. Cosa succede quando l’organizzazione tenta di implementare più cloud?

Secondo Forrest Brazeal di Google un modo sicuro per salvaguardare il vostro lavoro e accelerare la vostra carriera è diventare esperto in più di un cloud. Per comprendere e rispondere a questa crescente complessità del cloud, le aziende avranno bisogno di persone che siano “cloud multilingue”. Il problema è che molti faticano ancora a diventare abili anche quando si parla di un solo cloud. Questo problema è aggravato dalle organizzazioni che possono inavvertitamente sottovalutare le skill cloud o sovraccaricare i pochi dipendenti che le possiedono.

Tutto questo appare desolante, ma non deve esserlo per forza. Tanto per cominciare, si dovrebbero evitare le tre “trappole mortali” così chiamate da Leong, che scattano quando un’azienda non offre una buona retribuzione, non fornisce un buon ambiente di lavoro e non fa sentire le persone come se stessero facendo qualcosa di prezioso con le loro vite. Il primo passo per ridurre la carenza di talenti è pagare bene le persone e trattarle ancora meglio.

Questa distinzione tra “retribuzione” e “trattamento” non è scritta a caso. Come sottolinea sempre Leong, “un numero crescente di professionisti con cui parlo, più che della retribuzione nuda e cruda, si preoccupa maggiormente di un buon supporto esecutivo per il programma cloud, di un team in grado di lavorare bene e di una forte convinzione nella missione dell’organizzazione”. La retribuzione è importante, ma c’è molto più in gioco: “In molte aziende in cui la retribuzione non è eccezionale, ci sono anche problemi culturali che fanno sentire i professionisti cloud altamente qualificati fuori luogo e non apprezzati”. Il primo passo per risolvere la carenza di talenti cloud all’interno di una determinata organizzazione è celebrare ed elevare il più possibile il talento che avete già. Ecco perché la chiave del cloud sono le persone. Lo sono sempre state e sempre lo saranno.