La Commissione Europea ha pubblicato ieri il rapporto DESI 2022, che dal 2014 valuta e classifica il grado di digitalizzazione dei servizi, delle infrastrutture e delle competenze digitali nei paesi dell’Unione. Il rapporto conferma una tendenza vista nell’edizione del 2020, che ha evidenziato come alcuni cambiamenti e miglioramenti introdotti in seguito alla pandemia da Covid19 abbiano rappresentato un forte impulso alla crescita dell’adozione di servizi digitali da parte di cittadini e imprese, anche se in modo molto diverso tra loro.

L’adozione del telelavoro ha riguardato ovviamente solo una quota tra il 33 e il 44 percento della popolazione, prevalentemente tra gli impiegati, ma i cittadini hanno aumentato le loro interazioni digitali con le aziende dal 32% del dicembre 2019 al 55% di giugno 2020. La domanda di servizi digitali ha generato l’aumento di un milione di lavoratori del settore ICT, una crescita dei servizi digitali e un’accelerazione dell’adozione del cloud, che passa dal 24 al 41%.

Permangono però forti differenze tra le grandi aziende, il 72% delle quali utilizza servizi cloud, e le piccole e medie imprese dove l’adozione si ferma al 40%.

Tutti i paesi stanno sfruttando i fondi europei legati al piano di ripresa e resilienza per far avanzare il proprio grado di digitalizzazione, dedicando a questi progetti circa il 26% delle risorse (25% l’Italia), una quota ben superiore al 20% richiesto dal piano. Questo è particolarmente vero per i paesi più arretrati, Italia inclusa.

La classifica è guidata da Finlandia, Danimarca, Olanda e Svezia, per le quali permangono comunque sfide da superare per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030 dal programma strategico per il Decennio Digitale.

La posizione dell’Italia nell’indice DESI 2022

Partiamo dalla buona notizia: l’Italia è il paese europeo che nel periodo tra il 2017 e il 2022 ha avuto la crescita maggiore all’interno dell’indice DESI, con una over performance dell’11%, grazie anche a un aumento di attenzione da parte della politica con l’istituzione di un ministero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, ma deve ancora scontare una condizione storica di arretratezza.

DESI 2022 - Crescita dell'Italia

L’Italia è il Paese che più ha migliorato i propri parametri negli ultimi 5 anni.

Nonostante la crescita molto forte in tutti i parametri valutati, l’Italia rimane ancora collocata al 18esimo posto su 27, seguita solo da Repubblica Ceca, Cipro, Croazia, Ungheria, Slovacchia, Polonia, Grecia, Bulgaria e Romania.

Date le dimensioni in termini di popolazione ed economia (la terza più grande nell’Unione), l’avanzamento dell’Italia è una priorità per il raggiungimento degli obiettivi europei. Vediamo quindi come si posiziona l’Italia nei quattro ambiti di valutazione del DESI: capitale umano, connettività, integrazione delle tecnologie digitali e servizi pubblici digitali.

Il capitale umano

Nonostante le competenze digitali di base siano in crescita, queste restano ancora materia sconosciuta per più di metà della popolazione italiana, probabilmente anche a causa del nostro profilo demografico che vede un’elevata percentuale di anziani. Se a livello europeo il 71% dei giovani tra 16 e 24 anni dispone delle competenze di base, il dato crolla al 25% tra i 65 e i 74.

Sono però le competenze digitali avanzate e specialistiche che con il dato più basso in assoluto fanno crollare l’Italia alla terzultima posizione della classifica complessiva delle competenze, davanti solo a Bulgaria e Romania. La percentuale di specialisti digitali nella forza lavoro italiana è inferiore alla media dell’UE e nemmeno sembrano buone le prospettive per il futuro, visti i tassi molto bassi di iscrizione e laurea in discipline scientifiche in generale e per quelle legate all’informatica in particolare.

Competenze digitali di base e avanzate nel rapporto DESI 2022

L’italia è al terzultimo posto per le competenze digitali in generale, ma fanalino di coda per quanto riguarda le competenze avanzate.

Il mio personalissimo parere che l’Italia abbia un enorme problema culturale che porta a sopravvalutare le competenze umanistiche, a partire dai licei, e non tiene in debita considerazione materie scientifiche e informatica in particolare, probabilmente anche per un limite di comprensione da parte di chi influenza le decisioni a livello microscopico (genitori e piccoli imprenditori) o macroscopico (la politica). Fino a quando gli istituti tecnici saranno considerati scelte formative di serie B e una laurea in legge, medicina o economia sarà ammantata da un aura di prestigio sociale incomparabile rispetto a quella di chi ha studiato informatica, telecomunicazioni – anche in un politecnico – sarà difficile per il nostro paese fare il cambio di passo che gli obiettivi del Decennio Digitale richiedono.

Connettività

La fine del monopolio sulla banda larga, reso davvero effettivo solo con l’iniziativa pubblica di Open Fiber, ha comportato una crescita della rete, del numero e della capacità delle connessioni. Permangono però carenze sulla copertura del territorio con connessioni a banda ultra larga, in particolare FTTH, molto al di sotto della media europea. Anche in questo caso l’Italia deve fare i conti con una elevata dispersione della popolazione sul territorio.

Rapporto DESI 2022 Connettività

Complessivamente, l’Italia è comunque al settimo posto nella classifica, sostenuta anche da una buona diffusione della banda larga mobile (usata spesso per sopperire alle carenze delle linee fisse in piccoli centri e luoghi remoti).

Integrazione delle tecnologie digitali

Come dicevamo, pandemia e necessità di trasformare i metodi di lavoro hanno rappresentato per l’Italia una grossa sveglia che ha stimolato l’adozione di strumenti digitali e servizi cloud. Oggi il 60% delle imprese italiane ha raggiunto un livello base di intensità digitale, che il rapporto definisce in base a dodici parametri che misurano l’adozione di determinate tecnologie.

DESI-integrazinoe-tecnologie

Molto differente è invece l’adozione di tecnologie avanzate come big data e intelligenza artificiale, ancora molto limitata.  Anche in questo caso, la frammentazione delle imprese italiane rappresenta un ostacolo enorme, per due motivi.

Da un lato, le piccole imprese potrebbero non disporre delle risorse necessarie per investire in queste tecnologie.

Dall’altro, anche un’impresa che investisse in big data e machine learning probabilmente ne ricaverebbe risultati molto modesti, visto che queste tecnologie devono essere alimentate da enormi quantità di dati per poter funzionare al meglio. Una grande azienda con centinaia di migliaia di clienti può trarre vantaggi molto più grandi rispetto a cento aziende con migliaia di clienti ciascuna.

Servizi pubblici digitali

La necessità di utilizzare servizi digitali nel periodo di pandemia – si pensi solo ai servizi legati alla sanità come il Fascicolo Sanitario Elettronico – ha fatto aumentare il numero di utenti e il grado di utilizzo. Sebbene solo il 40% degli utenti internet italiani utilizzi servizi pubblici digitali, contro una media europea del 65%, il dato è cresciuto del 10% negli ultimi due anni. In questo, a mio parere, sta giocando un ruolo fondamentale lo SpID, che ha semplificato enormemente l’accesso. Basti pensare che fino a pochi anni fa siti come quello dell’INPS o dell’Agenzia delle Entrate prevedevano una registrazione allo sportello e l’invio di una password in due parti, per posta.

Di nuovo, la frammentazione delle amministrazioni pubbliche – in parte dovuta ancora una volta alla dispersione di migliaia di piccoli comuni sul territorio ma in parte a un decentramento regionale dettato più da un sentimento politico che da un’effettiva razionalità – non gioca a nostro vantaggio. I servizi digitali disponibili per un cittadino di Milano, Roma o Bologna sono ben diversi da quelli che può aspettarsi uno di Aosta o Campobasso, anche e soprattutto su aspetti fondamentali come la sanità.

E, di nuovo, la frammentazione delle informazioni non favorisce l’utilizzo di analisi dei big data e intelligenza artificiale, e costringe a investire per creare sistemi in grado di integrare, raccordare e unificare i dati della pubblica amministrazione, come sta avvenendo con il Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0. Il problema è in realtà sentito in tutta l’Unione e la Commissione ha predisposto a questo scopo un framework per l’interoperabilità dei dati nazionali.

In questo caso, la diciannovesima posizione dell’Italia nella classifica è in parte giustificata dal fatto che gli stati più piccoli sono avvantaggiati nell’erogazione di servizi digitali: Estonia, Finlandia e Malta guidano la classifica, mentre Francia e Germania non sono molto distanti da noi.

Non perdiamo la rotta!

La direzione intrapresa negli ultimi anni e rafforzata da un utilizzo per ora accorto delle risorse del PNRR ha portato l’Italia a essere il paese che più sta crescendo nell’adozione del digitale, ma decenni di arretratezza non si possono colmare con un breve slancio.

È fondamentale che il prossimo governo tenga dritta la rotta per agire dove si può, soprattutto in materia di competenze digitali avanzate e superamento della frammentazione della pubblica amministrazione e del tessuto imprenditoriale, favorendo le iniziative che coinvolgono le filiere e i distretti industriali.

Sul fronte della formazione specialistica è necessario intervenire per ampliare i posti disponibili nelle facoltà tecniche, promuovere gli ITIS e, dopo una necessaria razionalizzazione, diffondere maggiormente gli ITS post diploma. E per evitare che i tecnici e ingegneri informatici migliori lascino il Paese di fronte a un salaro più che doppio rispetto a quello che avrebbero in Italia, è necessario che imprenditori e responsabili delle risorse imparino a dare una giusta valutazione alle competenze informatiche.

“Ce lo chiede l’Europa” è un adagio spesso abusato per giustificare sacrifici. In questo caso, nel perseguire gli obiettivi Europei del Decennio Digitale, non c’è nulla da sacrificare e molto da guadagnare. E a chiedercelo è anche la parte migliore della nostra società.