La Commissione europea ha comminato a Google una multa da 2,95 miliardi di euro (circa 3,45 miliardi di dollari) per abuso di posizione dominante nel settore delle tecnologie pubblicitarie digitali, noto come “adtech”. Si tratta della quarta sanzione antitrust che l’azienda statunitense riceve da Bruxelles nell’arco di un decennio, a conferma di una battaglia regolatoria sempre più serrata tra l’Unione Europea e i giganti tecnologici americani.

L’autorità antitrust europea ha rilevato che Google ha favorito, in modo ingiustificato e a discapito dei concorrenti, i propri servizi di pubblicità display online, danneggiando inserzionisti, editori e altre imprese che operano nella catena di fornitura dell’adtech. In particolare, Google ha abusato della sua posizione dominante nei mercati dei server pubblicitari per editori sia attraverso il suo servizio “Dfp” (Google Ad Manager), sia negli strumenti per l’acquisto programmato di annunci, con prodotti come “Google Ads” e “DV360”.

Secondo Bruxelles, almeno dal 2014 fino ad oggi, Google avrebbe adottato pratiche di auto-preferenza che hanno distorto la concorrenza, creando un conflitto di interessi strutturale nell’ecosistema pubblicitario digitale. Queste condotte, vietate dall’articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), hanno alterato il mercato, limitando la possibilità di scelta per editori e inserzionisti e favorendo lo strapotere di Google nel settore.

La Commissione ha imposto a Google di interrompere immediatamente queste pratiche e ha fissato un termine di 60 giorni entro cui la società deve presentare un piano dettagliato su come intende risolvere i conflitti di interesse e porre fine all’abuso di posizione dominante. Se Google non dovesse fornire soluzioni adeguate, Bruxelles ha minacciato misure più severe, che potrebbero includere l’obbligo di cedere parte delle attività legate all’adtech, configurando uno smembramento strutturale senza precedenti.

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Teresa Ribera, vicepresidente esecutiva della Commissione europea, ha sottolineato che la decisione intende proteggere un mercato pubblicitario digitale equo e competitivo, che è fondamentale per la libertà e la pluralità del web. Ribera ha lanciato un ultimatum a Google, affermando che “se non verranno adottate soluzioni serie e credibili, la Commissione è pronta a intervenire con misure rigorose” per garantire il rispetto delle regole.

La reazione di Google… e degli USA

Google ha annunciato di voler presentare ricorso contro la sanzione, come d’altronde già avvenuto per le precedenti multe comminate dall’UE. L’azienda sottolinea di non aver violato alcuna norma e che le accuse di abuso si basano su interpretazioni errate del mercato pubblicitario digitale in continua evoluzione.

Non è passata inosservata nemmeno la reazione del governo statunitense, con Trump che ha definito la multa “ingiusta” e “discriminatoria”, minacciando inoltre ritorsioni commerciali e dazi contro l’Europa in risposta all’intervento regolatorio contro Google e altre società tech americane. Questo episodio si inserisce in un quadro più ampio di tensioni commerciali e normative tra le principali potenze mondiali, dove da un lato l’UE cerca di tutelare la concorrenza e i consumatori digitali, mentre dall’altro gli Stati Uniti denunciano azioni che a loro avviso penalizzano i colossi tecnologici made in America.

Il caso di Google è emblematico del potere che questi colossi possono esercitare nel mercato digitale e in particolare nel settore pubblicitario, che rappresenta una delle principali fonti di ricavi delle aziende tech. L’adtech è un ecosistema complesso che coinvolge diversi attori (editori, inserzionisti, intermediari tecnologici), in cui Google ha consolidato una posizione dominante grazie sia alla sua piattaforma di ricerca, sia ai suoi prodotti per la gestione e distribuzione degli annunci.

La distorsione della concorrenza in questo ambito ha impatti diretti non solo sugli operatori economici, ma anche sugli utenti finali perché limita la pluralità dell’offerta pubblicitaria e può influenzare le dinamiche di mercato, con conseguenze potenzialmente negative per l’intero sistema digitale europeo.