L’amministrazione Trump ha aumentato da 5000 a 100.000 dollari la tassa da applicare ai nuovi visti H-1B, quelli più utilizzati dalle aziende tecnologiche americane per assumere esperti stranieri specializzati. Questa nuova imposizione ha già provocato un forte impatto nelle comunità di lavoratori tech e nelle aziende della Silicon Valley e oltre, aprendo un nuovo capitolo nel dibattito sull’immigrazione, l’occupazione e la competitività industriale negli USA.

I visti H-1B sono storicamente lo strumento cardine che consente alle aziende statunitensi di attirare talenti tecnici da tutto il mondo, in particolare da paesi come India e Cina. Ogni anno, 85.000 nuovi visti sono disponibili tramite lotteria e già in passato il sistema ha suscitato dibattiti per il suo ruolo nel bilanciare l’offerta domestica e estera di professionisti altamente qualificati. Con la nuova tassa, però, la posta in gioco cambia radicalmente.

Dal 21 settembre le aziende che vogliono presentare una nuova richiesta di visto H-1B dovranno pagare una tassa di 100.000 dollari per ciascun visto, una cifra senza precedenti che si aggiunge a una paga minima garantita di 150.000 dollari per il lavoratore. Questo ha lo scopo dichiarato di disincentivare l’utilizzo “facile” di lavoratori stranieri a basso costo, affinché le imprese USA assumano prioritariamente forza lavoro americana qualificata.

La misura si accompagna ad altre iniziative come la cosiddetta “gold card”, un visto per ricchi investitori che può essere acquistato con un esborso di circa un milione di dollari e che garantisce la residenza permanente negli Stati Uniti.

Implicazioni per aziende e lavoratori nel settore tech

Le reazioni nel mondo corporate e tra i lavoratori non si sono fatte attendere. Il peso di una tassa di tale portata rischia infatti di far rivedere radicalmente le strategia di assunzione delle aziende tecnologiche, soprattutto per quelle più piccole e startup. Queste realtà, infatti, fanno ampio uso dei visti H-1B per accedere a competenze specialistiche spesso difficili da reperire nel mercato locale a costi sostenibili.

Per le grandi multinazionali come Google, Amazon, Microsoft e Meta, che dispongono di risorse finanziarie significative, l’impatto potrebbe essere meno immediato, potendo delocalizzare attività o assorbire i maggiori costi. Tuttavia, anche per le Big Tech questa normativa rappresenta una sfida, perché limita la competitività globale e la disponibilità di talenti specializzati.

Come specificato dalla Casa Bianca, la nuova tassa non si applicherà ai titolari di visti H-1B già in possesso e neanche ai rinnovi, ma solo alle nuove richieste presentate a partire dall’entrata in vigore della normativa. Questo chiarimento ha in parte mitigato timori iniziali, lasciando però aperte incertezze per il futuro a medio e lungo termine.

tassa visti USA

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Motivazioni politiche ed economiche

L’amministrazione Trump ha spiegato che questa stretta si inserisce in una linea politica mirata a proteggere il mercato del lavoro americano e contrastare quello che viene percepito come un uso improprio del sistema dei visti per integrare lavoratori stranieri a basso costo, in sostituzione della forza lavoro locale.

Secondo dichiarazioni del segretario al commercio Howard Lutnick, la priorità è spostare gli investimenti sulle università americane e far emergere talenti domestici, riducendo la dipendenza dai permessi per stranieri. Le cifre coinvolte sono ingenti; si stima infatti che la nuova tassa potrebbe generare fino a 100 miliardi di dollari di entrate per il governo americano, riflettendo anche una svolta protezionistica in ambito industriale.

Il provvedimento vuole anche porre un freno agli abusi percepiti nel sistema H-1B, che da anni rappresenta terreno di confronto tra chi ne difende l’importanza per l’innovazione tecnologica e chi sostiene che favorisca una concorrenza sleale a danno dei lavoratori americani. Non sono mancate ovviamente le ripercussioni critiche a questa mossa dell’amministrazione Trump.

Le associazioni di categoria e gli esperti legali hanno espresso dubbi sull’effettiva legittimità della tassa, evidenziando come essa sembri andare oltre la semplice copertura dei costi burocratici delle pratiche, configurandosi piuttosto come un’imposizione punitiva. È probabile che questa norma venga contestata in sede giudiziaria, con possibili sospensioni o modifiche nel futuro prossimo.

Le reazioni di India e Canada

Dal punto di vista geopolitico, la decisione ha inoltre creato tensioni anche con paesi come l’India, principale beneficiaria storica dei visti H-1B, da cui proviene la maggior parte dei lavoratori tech stranieri negli USA. La nuova tassa ha generato preoccupazione tra le aziende e le associazioni del settore IT indiano come Nasscom, che raggruppa le principali realtà tecnologiche del paese. Per molte imprese indiane, infatti, la maggior parte del loro fatturato deriva da contratti con clienti statunitensi, basati sull’invio di professionisti in loco proprio tramite il visto H-1B. La tassa rappresenta quindi un duro colpo alla loro continuità operativa e alla redditività di importanti progetti.

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Nasscom ha sottolineato che il costo aggiuntivo potrebbe spingere le aziende clienti negli USA a rinegoziare i prezzi o a rinviare i progetti e ha avvertito che molte imprese potrebbero rivedere i loro modelli di staffing, puntando più sul lavoro remoto offshore piuttosto che sull’invio fisico di personale con visto. Inoltre, le aziende indiane potrebbero trasferire ai clienti statunitensi i maggiori oneri finanziari derivanti dalla tassa.

Diversamente dall’India, il Canada non è direttamente interessato dal visto H-1B, ma la stretta sui visti americani ha indotto riflessioni sulle opportunità per attrarre i talenti tech che potrebbero trovare più difficoltoso lavorare negli Stati Uniti. Il sistema di immigrazione canadese è considerato più aperto e meno burocratico, con programmi come l’Express Entry e il Post-Graduation Work Permit (PGWP) che facilitano l’ingresso e la permanenza di studenti e lavoratori qualificati. Le politiche canadesi promuovono anche la possibilità di ottenere la residenza permanente più rapidamente rispetto agli Stati Uniti.

Per chi lavora nel settore tech e teme l’impatto della nuova tassa H-1B, il Canada si presenta insomma come un’alternativa concreta per continuare la propria carriera in Nord America senza dover sostenere gli alti costi imposti dalla normativa USA. Molti professionisti stanno quindi valutando di spostarsi o di scegliere il Canada come destinazione primaria per formazione e lavoro.

Resta il fatto che la nuova tassa dovrebbe, almeno nel medio termine, favorire i lavoratori formati negli Stati Uniti, che si troveranno a fronteggiare una concorrenza estera di fatto ridotta. Tuttavia, il rischio è che la riduzione dell’apporto esterno di talenti induca anche un rallentamento dell’innovazione tecnologica e una perdita di competitività su scala internazionale, considerato il ruolo centrale che i professionisti stranieri hanno avuto nel settore. Inoltre, per molte startup e PMI, che non hanno la capacità finanziaria delle grandi corporation di assorbire la nuova imposta o di aprire sedi all’estero, la misura rappresenta una seria minaccia alla loro crescita e, talvolta, alla stessa sopravvivenza.

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