Google, Amazon e Airbnb non sono tenute a rispettare una norma italiana che impone loro di fornire informazioni di vario tipo e un contributo finanziario, in quanto sono già soggette alle leggi vigenti in Irlanda e Lussemburgo (dove hanno sede legale).

A dichiaralo è stato ieri l’avvocato Maciej Szpunar della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE), il massimo tribunale europeo, anche se va precisato che per il momento non si tratta di un provvedimento vincolante, ma solo di un parere.

Il contenzioso tra le società e il governo italiano riguardava una norma (la cosiddetta “tassa sulle Big Tech”) che obbligava i fornitori di servizi online operanti in Italia a iscriversi a un registro e a fornire varie informazioni, oltre a versare un contributo finanziario. In caso contrario sarebbero state applicate delle sanzioni.

corte di giustizia

Google, Amazon e Airbnb hanno quindi impugnato la norma davanti a un tribunale italiano (che poi si è rivolto alla Corte di giustizia) sostenendo che questa è contraria alla legislazione dell’UE, secondo la quale i fornitori di servizi online sono soggetti solo alle norme del Paese in cui sono stabiliti, mentre i Paesi in cui forniscono un servizio devono astenersi dall’applicare le loro leggi.

Google e Airbnb hanno la loro sede europea in Irlanda e Amazon in Lussemburgo. Anche il fornitore statunitense di servizi di viaggio online Expedia si è opposto all’obbligo di fornire informazioni. “Uno Stato membro non può imporre obblighi generali e astratti a un fornitore di servizi online che opera sul suo territorio ma ha sede in un altro Stato membro”, ha affermato Szpunar in quello che comunque (lo ripetiamo) rimane per ora un parere non vincolante.

La CGUE si pronuncerà definitivamente sulla questione nei prossimi mesi.