Antitrust USA: Google scampa alla cessione forzata di Android e Chrome, ma dovrà condividere i suoi dati

Ieri è andato in scena un nuovo capitolo nella lunga battaglia legale tra Big Tech e le autorità antitrust statunitensi. Un giudice federale di Washington, Amit Mehta, ha stabilito che Google non dovrà cedere il proprio browser Chrome né il sistema operativo Android, ma dovrà condividere alcuni dati chiave con i concorrenti allo scopo di favorire una maggiore concorrenza nel settore della ricerca online.
Questa decisione, pur ponendo limiti stringenti che mirano a smantellare alcune pratiche considerate anticoncorrenziali, rappresenta una vittoria significativa per Google, che evita così le conseguenze più drastiche auspicate dai regolatori.
Il contesto di questa vicenda è una cause legale partita nel 2023 per verificare se Google abbia illegalmente esercitato un monopolio nel mercato della ricerca su internet e nella pubblicità online. Nel 2024, lo stesso giudice Mehta aveva già stabilito che l’azienda aveva effettivamente mantenuto una posizione monopolistica illecita, aprendo così la strada a una seconda fase dedicata alle eventuali misure correttive.
Tra le richieste più severe avanzate dal Dipartimento di Giustizia, figurava la separazione forzata di Chrome da Alphabet e la fine degli accordi plurimiliardari che Google stipula con Apple per mantenere la propria posizione predefinita di motore di ricerca su iPhone, iPad e Mac. Tuttavia, la sentenza di ieri ha respinto tali richieste di vendita, riconoscendo che la semplice imposizione di queste misure drastiche non garantirebbe un effetto reale e immediato sul mercato e ritenendo più efficace obbligare Google alla condivisione dei dati con i competitor.
La decisione di mantenere l’accordo tra Google e Apple, in particolare, ha avuto impatti immediati sui mercati finanziari, con le azioni di Alphabet salite fino al 7-8% nelle contrattazioni after-hours e con quelle di Apple che hanno registrato un rialzo del 3%, evidenziando come gli investitori abbiano visto positivamente questa soluzione meno radicale ma comunque attenta a riequilibrare la concorrenza.
Il giudice Mehta ha chiarito che Google potrà continuare a offrire pagamenti a partner come Apple per il pre-caricamento di Chrome, del motore di ricerca e di servizi legati all’intelligenza artificiale, specificando però che non potrà più concludere contratti esclusivi che impediscano ad altri attori di essere presenti sui dispositivi.
Questa sentenza si inserisce in un quadro più ampio di un’intensificazione dei controlli antitrust su Big Tech da parte delle autorità americane, che da qualche anno stanno avviando numerose cause e indagini anche nei confronti di altre big tech come Meta, Apple, Amazon, Microsoft e Nvidia.
Ognuna di queste società è infatti accusata di varie forme di abuso di posizione dominante. Meta per il monopolio nel social networking legato all’acquisizione di Instagram e WhatsApp, Amazon per pratiche anticoncorrenziali nell’e-commerce, Microsoft per potenziali limitazioni imposte sui software di produttività e Nvidia per posizioni dominanti nel mercato dei chip essenziali per l’intelligenza artificiale. Questi casi stanno portando avanti un processo giudiziario che potrebbe durare anni, con il rischio di arrivare fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti e di ripensare profondamente alle regole di mercato nel settore tecnologico.
Un elemento chiave sottolineato da vari esperti e dal giudice Mehta stesso è la delicatezza nel bilanciare gli interventi regolatori. Il tribunale si è infatti mostrato cauto nel non voler interrompere o frammentare asset che, pur essendo dominanti, non necessariamente conseguirono ad abusi evidenti in modo diretto, riconoscendo inoltre che la concorrenza si sta trasformando, in particolare a causa dell’emergere delle tecnologie IA che stanno cambiando le dinamiche di settore. La scelta di imporre la condivisione dei dati piuttosto che lo smembramento di Google riflette proprio questa sensibilità verso soluzioni che favoriscano la competizione senza penalizzare eccessivamente l’efficienza e l’innovazione.
(Immagine in apertura: Shutterstock)