L’antitrust EU accusa Google: ha abusato dei contenuti per addestrare l’IA. Guai in vista anche per Play Store

La Commissione Europea ha inaugurato una nuova e complessa indagine antitrust nei confronti di Google, focalizzata sul possibile utilizzo improprio di contenuti provenienti dal web e da YouTube per alimentare i propri modelli di intelligenza artificiale. Il sospetto è che la società californiana abbia tratto vantaggio da materiali prodotti da terzi senza offrire né un compenso adeguato né una reale possibilità di escludere i propri contenuti dai dataset di addestramento, creando nel contempo barriere artificiali ai concorrenti del settore AI.
Secondo l’interpretazione preliminare dell’Antitrust europeo, Google potrebbe aver incorporato nei suoi servizi AI Overviews e AI Mode porzioni significative di contenuti editoriali e informativi pubblicati online senza un sistema strutturato di remunerazione per gli editori. Il punto critico non riguarda solo l’utilizzo dei materiali, ma soprattutto l’assenza di un meccanismo di opt-out effettivo, elemento determinante nel quadro normativo europeo che tutela sia la proprietà intellettuale, sia la libertà degli operatori economici di stabilire come i propri asset vengono sfruttati.
Lo stesso tipo di preoccupazione emerge per la parte relativa a YouTube. La Commissione sottolinea che gli utenti che caricano video sulla piattaforma sono vincolati a concedere a Google il permesso di utilizzare tali contenuti anche per l’addestramento di modelli generativi, senza un corrispettivo economico. È un nodo delicato, perché tocca direttamente l’equilibrio tra i diritti dei creator e le necessità evolutive dei modelli AI, che richiedono grandi quantità di dati per acquisire capacità di generazione, classificazione e sintesi.
Ulteriore elemento d’indagine riguarda la possibilità che Google, forte della propria posizione dominante nell’ecosistema video, abbia impedito ai competitor AI di accedere ai contenuti di YouTube a fini di addestramento, esercitando un controllo che potrebbe esser qualificato come anticoncorrenziale. Se venisse dimostrato, questo comportamento potrebbe configurare un abuso di posizione dominante secondo le norme comunitarie, in particolare quando un’azienda impone condizioni svantaggiose ai partner commerciali o si garantisce accesso esclusivo a risorse considerate essenziali.
La Commissione Europea ha chiarito che l’obiettivo dell’indagine è verificare se Google stia distorcendo il mercato a proprio favore attraverso termini contrattuali ritenuti ingiusti per editori e creator, o tramite restrizioni che ostacolano l’attività delle tecnologie AI concorrenti. In caso di conferma delle pratiche sospette, la violazione delle normative sulla concorrenza sarebbe evidente e potenzialmente sanzionabile con misure severe.
Google ha respinto con forza le accuse, sostenendo che l’azione regolatoria rischia di rallentare lo sviluppo tecnologico in uno dei settori più dinamici e competitivi del momento. L’azienda ripropone una linea difensiva già adottata da altri protagonisti statunitensi dell’hi-tech, enfatizzando il rischio che controlli eccessivamente stringenti limitino le capacità di innovazione e blocchino l’adozione di nuove tecnologie da parte degli utenti europei.
Google sostiene inoltre di essere pienamente conforme alla normativa europea e cita strumenti come il token Google-Extended, che consente ai publisher di limitare la raccolta dei dati da parte dei crawler. Google ribadisce anche il pieno rispetto delle direttive contenute nei file robots.txt, ma permane un punto critico, visto che impedire ai crawler di indicizzare un sito può avere un impatto significativo sul posizionamento nei motori di ricerca, un effetto collaterale che la Commissione considera parte integrante del problema.
Per quanto riguarda YouTube, l’azienda ha messo in evidenza gli strumenti sviluppati per proteggere i creator, come il sistema di rilevamento delle somiglianze volto a identificare l’utilizzo improprio della loro immagine all’interno di contenuti generati dall’AI. Una risposta giudicata dalla Commissione ancora insufficiente, poiché non affronta il nodo principale, ovvero che i creator non possono evitare che i loro video vengano utilizzati per l’addestramento dei modelli.
Google rischia inoltre una nuova e pesante sanzione da parte dell’Unione Europea all’inizio del prossimo anno se non apporterà ulteriori modifiche al funzionamento del Google Play Store, ritenuto ancora non conforme alle regole comunitarie sulla concorrenza e sull’accesso equo ai mercati digitali. L’indagine della Commissione, avviata a marzo, contesta in particolare le limitazioni tecniche che impediscono agli sviluppatori di indirizzare gli utenti verso canali alternativi dove possono trovare offerte più convenienti. Nel mirino c’è anche la commissione applicata da Google per l’acquisizione dei nuovi clienti tramite il Play Store, giudicata dall’antitrust superiore a quanto giustificabile.
Le modifiche introdotte da Google in agosto non avrebbero convinto Bruxelles, che considera invece il recente restyling dell’App Store di Apple, arrivato dopo una multa da 500 milioni di euro, come uno standard di riferimento in linea con il Digital Markets Act. La Commissione ritiene che l’azienda americana possa intervenire ulteriormente per garantire maggiore apertura e trasparenza, e potrebbe imporre una sanzione già nel primo trimestre del prossimo anno, salvo nuovi impegni da parte dell’azienda. Google si difende sostenendo che cambiamenti più radicali metterebbero a rischio gli utenti Android, esponendoli a frodi, malware e furti di dati.
Le indagini su Google, che si prospettano complesse e potenzialmente molto lunghe, rappresentano quindi un nuovo tassello del confronto tra Unione Europea e big tech sui limiti dell’AI generativa, sull’uso legittimo dei dati e sulla tutela della concorrenza in un mercato in rapida evoluzione.

