Le donne possiedono molte caratteristiche ambite da chi seleziona personale per ruoli di innovazione e digitale in azienda. Le giovani però, complici gli stereotipi di genere trasmessi da scuola, famiglia e società in generale, non ritengono di avere propensione per le materie tecniche e scientifiche, e si orientano verso studi umanistici. Solo l’1,1 percento delle donne italiane tra 20 e 29 anni è laureata in discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Math), e non va poi così meglio per i maschi, fermi all’1,4 percento contro il 2,3% di Regno Unito e Francia e 2% di Spagna e Germania.

Questa è forse il dato più preoccupante emerso dall’indagine Innovazione Al Femminile condotta da CA con Netconsulting Cube e presentata ieri a Milano.

Oltre a impoverire le aziende di un importante contributo ai team di innovazione, sempre più necessariamente multidisciplinari, e peggiorare la già grave carenza di laureati in discipline scientifiche e legate al digitale in Europa, la disparità di genere tra i laureati in discipline STEM ha un importante impatto sulla competitività e sul PIL.

Viviamo un’epoca di cambiamenti esponenziali o addirittura di frattura nel business, trainati dalle tecnologie legate al digitale e a Internet. Come in ogni cambiamento ambientale, le aziende si trovano costrette a cambiare ed evolvere. Una sorta di “darwinismo digitale” secondo Michele Lamartina, Amministratore Delegato di CA Technologies, secondo cui “solo le imprese in grado di innovare sopravviveranno, ma mancano le competenze per farlo”. Lamartina cita uno studio dell’Unione Europea che prevede che prevede per il 2020 un deficit di circa 800.000 risorse con competenze digital in Europa, e secondo cui già oggi il 40% delle aziende non riesce a trovare risorse che abbiano le competenze richieste.

Colmare il divario di genere nelle università scientifiche e techiche, quindi, oltre che giusto è anche indispensabile per apportare al mercato del lavoro le competenze che richiede. “Nonostante il numero di giovani laureate sotto i 30 anni sia superiore a quello degli uomini, solo l’1,1 percento di esse ha una laurea tecnica o scientifica. Se si riuscisse a colmare il divario di genere, il PIL Europeo potrebbe crescere di una cifra variabile tra 610 e 869 miliardi di euro. Nel solo campo ICT, l’incremento del PIL potrebbe essere di 9 miliardi all’anno”, prosegue Lamartina.

Con l’obiettivo di stimolare l’interesse delle ragazze verso le materie STEM e la tecnologia, eliminare gli stereotipi di genere e presentare percorsi formativi e modelli che ispirino le ragazze, CA Technologies ha lanciato nel 2015 il progetto Create Tomorrow, una partnership con Sodalitas, StemAlliance, Programma il futuro e altri attori del mondo dell’educazione. Nell’ambito del programma, i dipendenti di CA, su base volontaria ma retribuiti dall’azienda, dedicano parte del proprio tempo a progetti educativi che si tengono nelle scuole, dalla Primaria all’Università.

L’indagine Innovazione Al Femminile, che è stata condotta su un campione di 110 CIO e direttori delle risorse umane di aziende italiane e 210 studenti di licei e istituti professionali, offre uno spaccato su come questi due mondi vedono il tema dell’innovazione digitale e delle competenze che richiede, anche in termini di soft skill. Per il 42% dei direttori dei sistemi informativi coinvolti, l’innovazione digitale è rivolta soprattutto verso l’interno, e viene usata per migliorare i processi, il 14% la sta impiegando per innovare prodotti e servizi, mentre il 38% sta innovando entrambe le aree.

Nell’ottica di migliorare la collaborazione tra funzione IT e linee di business, l’indagine rileva la crescente diffusione di team interdisciplinari e multifunzionali dedicati all’innovazione, o nuove funzioni aziendali a essa preposta, che nel 67% dei casi risiede all’interno della funzione IT.

Donne nel digitale: occasioni mancate

Sebbene questi team siano di nuova creazione, spesso con elementi giovani, si rileva un forte sbilanciamento di genere, con un rapporto medio tra uomini e donne di 9 a 2. I responsabili delle risorse umane imputano in larga parte il dato alla scarsità di laureate in discipline STEM, ma nel corso della tavola rotonda successiva, la head hunter Carola Adami ha affermato che, di fronte a una shortlist formata da un uomo e una donna ugualmente qualificati a ricoprire una posizione nella funzione IT, le aziende preferiscono l’uomo nella stragrande maggioranza dei casi. La competenza non basta, insomma, a superare il pregiudizio.

Malgrado ciò, secondo l’indagine, i responsabili delle risorse umane riconoscono un ruolo importante delle donne nell’innovazione: l’83% pensa che possano dare un significativo valore aggiunto alla creazione di prodotti e servizi, cogliendo e indirizzando meglio le esigenze dell’utenza femminile, e ritiene che una maggiore presenza di donne negli ambiti tecnico-scientifici potrebbe avere un impatto sulla crescita del business.

Per i direttori dei sistemi informativi le soft skill più ricercate per abilitare i processi innovativi sono l’apertura al cambiamento e la capacità di problem solving, la propensione alla collaborazione e al team working e il pensiero laterale. Capacità che sia loro che i responsabili HR riconoscono nelle collaboratrici ma che, paradossalmente, le giovani studentesse non credono di avere (un aspetto giustamente definito “doloroso” dalla moderatrice Annamaria Di Ruscio, AD di NetConsulting Cube, SIRMI e Snapsource.

I direttori HR attribuiscono alle donne molti soft skill ambiti, anche se queste non credono di possederli.

I direttori HR attribuiscono alle donne molti soft skill ambiti, anche se queste non credono di possederli.

Un problema che parte da lontano, nella famiglia e nella scuola, fin dalla scelta del liceo. Sebbene il 70% dei ragazzi e il 59% delle ragazze intervistate affermino di non essere influenzati dai genitori nella scelta del percorso di studi e di carriera, il 23% di queste ultime dichiara di essere indirizzato verso una formazione umanistica (contro il 6% dei ragazzi) mentre solo al 12% viene suggerito un percorso di studi STEM (rispetto al 21% dei ragazzi). Solo il 30% delle ragazze ha risposto di sentirsi portato per la matematica (contro il 50% dei ragazzi) ammettendo di puntare maggiormente su buone capacità di esposizione (61%) e di scrittura (63%). A fronte del 53% di ragazzi che intendono intraprendere un corso di laurea STEM, solo il 30% delle ragazze pensa di farlo, ma queste si indirizzano soprattutto verso Medicina (88%, contro il 12% dei maschi) e Chimica (58% contro 42%), dimostrando scarso interesse per facoltà come Fisica (30%), Informatica (33%), Matematica (36%) e Ingegneria (39%), preferite dai colleghi maschi con percentuali anche più che doppie.

Poca conoscenza delle professioni più richieste

Altro dato preoccupante è che i giovani in generale conoscono poco le professioni più richieste dalle aziende nel campo del digitale, come Cyber Security Expert, Digital Strategist / Information Officer, il Data Protection Officer, Big Data Engineer e Data Scientist. Anche in questi ruoli predomina il genere maschile, con addirittura il 100% degli uomini nel caso del Data Protection Officer.

All’interno dei team digitali sta però crescendo la necessità di introdurre competenze di tipo umanistico, in particolare nel campo della sociologia, antropologia e filosofia, oltre ad arte e design. “Questa commistione, che si può riassumere con l’acronimo STEAM, dove la A sta per Arti, può rappresentare una grande opportunità soprattutto per le ragazze che potranno considerare gli ambiti tecnico-scientifici come nuove strade in grado di enfatizzare anche percorsi scolastici tradizionali e interessi eterogenei”, ha concluso Daniela Avignolo, Direttore HR, CA Technologies.

La presentazione con i dati della ricerca è disponibile qui sotto per gli utenti registrati.