Dopo il blocco dell’email del Procuratore Capo, la Corte Penale Internazionale abbandona Microsoft 365

La Corte Penale Internazionale (ICC) (che a sede a L’Aia, nei Paesi Bassi), ha deciso di sostituire l’intero ecosistema Microsoft Office con openDesk, una piattaforma open source sviluppata dal Centro per la Sovranità Digitale (ZenDiS) per conto del Ministero dell’Interno tedesco. È un passaggio dal forte valore politico e tecnologico, che riflette le crescenti preoccupazioni in Europa sulla dipendenza da software e servizi cloud di provenienza statunitense.
La notizia, confermata a The Register da un portavoce dell’ICC, si inserisce in un contesto in cui le tensioni geopolitiche e la gestione dei dati sensibili stanno ridefinendo le priorità digitali delle istituzioni internazionali. La Corte, che gestisce informazioni riservate relative a indagini e procedimenti contro crimini di guerra e contro l’umanità, non può permettersi rischi di vulnerabilità o interferenze legate a legislazioni extraeuropee.
Il passaggio a openDesk, oltre a rappresentare una migrazione software, è soprattutto una presa di posizione netta in favore della sovranità tecnologica europea, un tema che negli ultimi anni ha guadagnato centralità nelle agende politiche del Vecchio Continente.
Il contesto politico e le tensioni con Washington
L’adozione di openDesk arriva pochi mesi dopo un episodio che ha acuito i sospetti europei nei confronti delle Big Tech americane. Nel febbraio scorso, l’amministrazione Trump ha firmato un ordine esecutivo che imponeva sanzioni contro funzionari dell’ICC, in risposta ai mandati di arresto emessi nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per presunti crimini di guerra a Gaza.
Secondo fonti interne, il procuratore capo Karim Khan avrebbe temporaneamente perso accesso al proprio account Microsoft, episodio che ha immediatamente sollevato interrogativi sul grado di indipendenza delle piattaforme statunitensi rispetto alle pressioni politiche di Washington. Sebbene il presidente di Microsoft, Brad Smith, abbia negato qualsiasi responsabilità diretta, la vicenda ha rafforzato la convinzione di molti funzionari europei che l’affidamento a tecnologie USA possa trasformarsi in un rischio strategico.
Un percorso europeo già avviato
La scelta della Corte non è un caso isolato. Negli ultimi anni, diverse amministrazioni pubbliche europee hanno infatti avviato programmi di migrazione verso soluzioni open source per ridurre la dipendenza da Microsoft e da altri fornitori americani.
Un esempio pionieristico è quello della città di Monaco di Baviera, che già negli anni 2000 aveva adottato Linux e LibreOffice per la propria infrastruttura IT. Sebbene il progetto sia stato in parte abbandonato nel 2020 per tornare a Windows, ha lasciato un’eredità culturale significativa e aperto la strada a nuove iniziative.
Più recentemente, il Land tedesco dello Schleswig-Holstein ha completato la migrazione di 40.000 account a Linux e LibreOffice, una delle più grandi operazioni di transizione digitale in Europa. Anche la Francia, con la città di Lione, e i Paesi Bassi, attraverso il Parlamento olandese, hanno espresso l’intenzione di abbandonare progressivamente software proprietari americani in favore di alternative europee.
OpenDesk: un modello europeo per la collaborazione digitale
OpenDesk si presenta come una suite completa per la produttività e la collaborazione, basata su software open source e progettata per garantire piena sovranità dei dati. L’obiettivo è fornire alle istituzioni europee un ecosistema digitale interoperabile, sicuro e conforme alle normative comunitarie in materia di privacy e protezione dei dati (GDPR).
La piattaforma è sviluppata da ZenDiS, un ente pubblico tedesco impegnato nella promozione della sovranità digitale europea. L’infrastruttura è ospitata interamente su server localizzati in Europa e basata su standard aperti per evitare vincoli legali legati al Cloud Act statunitense, che consente a Washington di accedere ai dati detenuti da società americane anche se conservati all’estero.
D’altronde la stessa Microsoft e altre aziende USA hanno ammesso di non poter garantire la piena indipendenza dei dati europei da potenziali richieste governative americane. Per organizzazioni sensibili come l’ICC, ciò costituisce un rischio inaccettabile.
Un segnale per la futura infrastruttura digitale europea
Il caso dell’ICC si inserisce in una tendenza più ampia che coinvolge l’intera Unione Europea. Bruxelles sta promuovendo progetti come Gaia-X, una rete di infrastrutture cloud federate concepita per ridurre la dipendenza dai colossi americani (AWS, Google Cloud, Microsoft Azure) e costruire un ecosistema tecnologico realmente europeo. Allo stesso tempo, l’aumento di blackout e disservizi nei servizi cloud globali (come quelli recenti di AWS e Azure) ha spinto governi e istituzioni a interrogarsi sulla resilienza e sull’autonomia strategica delle infrastrutture digitali.
Nel frattempo, un portavoce di Microsoft ha dichiarato di “valutare positivamente il rapporto con la Corte Penale Internazionale” e di ritenere che “nulla ostacoli la possibilità di continuare a fornire servizi in futuro”. Tuttavia, la scelta dell’ICC segna una svolta culturale che appare difficilmente reversibile.

