Si è tenuta a fine febbraio la tavola rotonda “CIO Debates – trasformare i dati in intelligenza per il business”, organizzata da Computerworld e Business International e promossa da Workday. CIO e responsabili della trasformazione digitale di grandi aziende italiane si sono confrontati sull’impiego di tecnologie come intelligenza artificiale e augmented analytics per la comprensione dei fenomeni in atto all’interno delle aziende, tra processi e capitale umano.

Negli ultimi anni le tecnologie di IA e Analytics sono state applicate soprattutto nel creare un rapporto diretto con i clienti: profilazione, analisi del customer journey, analisi delle tendenze… Dei clienti sappiamo tutto: quando è meglio raggiungerli e con che tipo di comunicazione, quale servizio sarebbero disposti a comprare. Anche quando loro ancora non sanno di desiderarlo.

Raccogliamo enormi quantità di dati dei clienti e usiamo su di essi le tecnologie più avanzate. E grazie a questi dati le aziende sanno prevedere quale sarà l’esito delle proprie azioni: sanno che se contattano mille persone, 100 visiteranno la pagina del sito, dieci chiederanno informazioni e due faranno un acquisto.

Poche aziende però stanno usando gli stessi strumenti e simili competenze per puntare lo sguardo al loro interno: all’organizzazione del lavoro, all’ottimizzazione dei processi, all’esperienza del dipendente. E il risultato traspare nell’esperienza quotidiana del dipendente.

Le aziende consumer sono sempre più attente a offrire ai propri clienti un’esperienza positiva nell’interazione con l’azienda, che in parte è dovuta a interfacce migliori e accattivanti, ma molto dipende dal fatto di conoscere molto bene il cliente per offrire servizi che gli servano davvero (cosa guardare questa sera, quali prodotti simili a quelli che ha cercato sono più convenienti o più popolari…).

Poco di questa esperienza fa parte della nostra vita lavorativa. Molte aziende non conoscono i propri dipendenti allo stesso modo in cui conoscono i loro clienti. Della employee experience, e delle sue ripercussioni sul raggiungimento degli obiettivi aziendali si parla da tempo, ma mai come nell’ultimo anno è diventata estremamente importante. Siamo infatti nell’era del lavoro fluido e decentralizzato, dove tanti dei segnali che l’azienda e i suoi manager avevano a disposizione per “capire” il collaboratore, dalla puntualità nelle timbrature alla possibilità di vedere quotidianamente la persona al lavoro, sono venuti a mancare. Le aziende sono diventate, da questo punto di vista, cieche.

Per esempio, una certa percentuale di dipendenti non si fanno mai sentire con i loro responsabili. Quanti di essi lo fanno perché non ne hanno bisogno e stanno lavorando efficacemente in modo autonomo? Quanti hanno timore di disturbare il capo al telefono? Quanti stanno attraversando un periodo difficile? Quanti ancora stanno pensando di cambiare lavoro?

Quali funzioni – al di là di quel che raccontano – stanno avendo difficoltà nell’adottare un nuovo processo o un nuovo strumento di lavoro? Che caratteristiche hanno i dipendenti che invece non hanno difficoltà a riguardo? Quali insegnamenti possiamo trarre da questo confronto per calibrare una formazione individuale o iniziative di tutoring?

Workday sta lavorando assiduamente su questi temi, attraverso una struttura di dati unificata per la forza lavoro a cui vengono aggregate informazioni non strutturate e applicati algoritmi di augmented analytics che permettono di evidenziare fenomeni e tendenze in atto in azienda su aspetti come composizione, retention & attrition, performance & talento, diversity & Inclusion, contrattazione & skill. Questi dati vengono poi elaborati e tradotti automaticamente in relazioni testuali e grafici che possano comunicare alle funzioni preposte le informazioni utili a prendere decisioni informate.