La fiducia nell’intelligenza artificiale non è mai stata così alta, almeno a parole. Le aziende dichiarano di credere nella solidità tecnologica dell’IA, nella sua affidabilità e nella capacità di generare valore, ma quando si passa dalla percezione alla pratica il quadro si fa decisamente più complesso. I dati più recenti mostrano un paradosso evidente per il quale, mentre la fiducia cresce, l’adozione strategica dell’IA resta confinata a una minoranza di casi, con la maggior parte delle organizzazioni ancora bloccata in una fase esplorativa che fatica a evolvere.

Secondo una nuova ricerca condotta da Insight, oltre la metà delle aziende intervistate si definisce “molto fiduciosa” nei confronti dell’intelligenza artificiale. Questo dato, apparentemente incoraggiante, si scontra però con una realtà operativa molto più prudente. Sei organizzazioni su dieci non hanno ancora superato la fase di progetti pilota o sperimentazioni circoscritte, spesso limitate ad ambiti a basso rischio e a processi non critici. Solo una quota ridotta, poco meno di un quarto, utilizza inoltre l’IA in produzione per casi d’uso chiaramente definiti e misurabili.

Il problema, dunque, non è l’assenza di interesse né tantomeno la mancanza di fiducia nella tecnologia. A emergere con forza è piuttosto un deficit di maturità organizzativa e infrastrutturale. In Europa, appena il 5% delle aziende dichiara di aver integrato pienamente l’IA nelle proprie operazioni, a dimostrazione di un continente ancora prudente, frammentato e rallentato da vincoli strutturali più che da dubbi concettuali.

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In questo scenario, l’Italia rappresenta un caso peculiare. Da un lato mostra un livello di maturità superiore alla media europea, con una percentuale di aziende che hanno già completato l’integrazione dell’IA leggermente più alta. Dall’altro, però, il sistema produttivo italiano risulta fanalino di coda quando si guarda alla capacità di scalare l’IA su larga scala. La stragrande maggioranza delle imprese resta infatti ancorata a iniziative pilota, spesso scollegate da una visione strategica complessiva.

Le difficoltà di integrazione tecnologica vengono indicate come il principale ostacolo all’adozione diffusa dell’IA. Integrare modelli, piattaforme e flussi di dati all’interno di infrastrutture legacy richiede competenze, tempo e investimenti che molte aziende non hanno pianificato adeguatamente. A questo si aggiunge un evidente gap di competenze, con la carenza di figure in grado di governare sistemi di intelligenza artificiale in modo strutturato che rappresenta un freno significativo, soprattutto nei contesti meno digitalizzati.

Non va poi sottovalutata la dimensione culturale. La resistenza al cambiamento, seppur meno citata rispetto ad altri fattori, continua a influenzare le decisioni aziendali. L’IA viene spesso percepita come uno strumento sperimentale, utile per ottimizzare singole attività ma non ancora pronta a diventare un elemento portante dei processi core. A questo si sommano lacune nei framework di governance e conformità, aspetti sempre più centrali in un contesto normativo in rapida evoluzione.

Il risultato è un livello di maturità complessivo ancora limitato. La maggior parte delle organizzazioni europee si colloca nelle fasi iniziali del percorso di adozione o in una fase di scaling incompleto. Il divario tra la fiducia dichiarata e l’effettiva implementazione rimane quindi ampio e rischia di ampliarsi ulteriormente se non si interviene su basi strutturali.

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Le scelte infrastrutturali contribuiscono ad aumentare la complessità. Molte aziende guardano con favore all’IA basata su cloud, attratte da scalabilità e rapidità di implementazione, ma allo stesso tempo una quota significativa continua a preferire soluzioni on-premises, spinte da esigenze di controllo, conformità e prestazioni. Gestire questo equilibrio richiede una maturità tecnologica che non tutte le organizzazioni hanno ancora raggiunto, soprattutto quando mancano una chiara strategia dei dati e una visione integrata dei carichi di lavoro.

Come sottolineato dai vertici di Insight, adottare un approccio puramente tecnologico raramente porta a risultati concreti. Fornire strumenti di IA ai team senza una reale comprensione dei processi di business, senza casi d’uso ben definiti e senza un piano di implementazione strutturato significa condannare molte iniziative a rimanere confinate nella fase pilota. La trasformazione, quella reale, richiede invece una combinazione di competenze tecniche, visione strategica, governance e capacità di misurare il ritorno sull’investimento.

In questo contesto, il ruolo dei partner tecnologici evolve e serve accompagnare le aziende nella costruzione di un percorso coerente, che parta dalla comprensione del business e arrivi alla messa in produzione responsabile dell’IA, integrandola nel cuore delle organizzazioni e non relegandola a semplice esercizio di innovazione.