Il mito delle startup capaci di rivoluzionare interi settori è ancora forte, ma la realtà più terra terra è che molte aziende nate con grande entusiasmo sono troppo di nicchia per sostenere la pressione di un mercato pubblico. L’acquisizione di Eventbrite da parte dell’italiana Bending Spoons è un esempio lampante di questo ritorno alla concretezza. Il gruppo milanese ha messo sul piatto 500 milioni di dollari in contanti, una cifra significativa ma lontana dal valore con cui Eventbrite si era presentata a Wall Street nel 2018, quando il mercato la valutava circa 1,7 miliardi.

Il prezzo fissato da Bending Spoons, pari a 4,50 dollari per azione, suona quasi come un gesto di generosità se confrontato con la chiusura di mercato del giorno precedente di soli 2,50 dollari. È un ribaltamento impressionante rispetto ai 23 dollari dell’IPO di sette anni fa, eppure chi aveva osservato il percorso dell’azienda fin dall’inizio potrebbe non essere rimasto sorpreso.

Bending Spoons Vimeo

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La narrazione romantica dei fondatori, presentata con enfasi al momento della quotazione, non aveva nascosto che la crescita di Eventbrite fosse più lineare che esplosiva e già allora si intuiva un rallentamento. A pochi mesi dalla quotazione, quel rallentamento è diventato una frenata, portando alla superficie problemi strutturali difficili da ignorare.

Il cuore del modello Eventbrite si basava sul ticketing di eventi di piccole e medie dimensioni, un segmento affascinante per varietà ma fragile per dinamiche. La piattaforma dipendeva completamente da calendari e stagionalità che non controllava, un vincolo che si traduceva in entrate imprevedibili e poco scalabili. Eppure Eventbrite non è un guscio vuoto: genera cassa (circa 27 milioni di free cash flow nell’ultimo anno) ed è perfettamente allineata alla strategia di Bending Spoons, che negli ultimi anni ha acquisito realtà come AOL, Vimeo, Brightcove ed Evernote, tutte accomunate da una fase discendente della loro parabola tecnologica.

L’azienda italiana sta costruendo un portafoglio di servizi consolidati ma sottovalutati, una sorta di seconda vita industriale per brand che hanno ancora un potenziale funzionale, se non più glamour.