IBM ha iniziato a notificare a diverse migliaia di dipendenti l’avvio di una nuova ondata di licenziamenti. Secondo fonti interne, si tratta delle cosiddette Resource Action (RA), comunicazioni ufficiali che concedono ai lavoratori 30 giorni di tempo per trovare un’altra posizione all’interno dell’azienda. In caso contrario, saranno accompagnati all’uscita con alcune mensilità di indennità. Un rituale ormai familiare in casa IBM, ma che questa volta sembra assumere proporzioni significative.

Le stime interne parlano di una riduzione del 45% della forza lavoro nel gruppo infrastrutturale statunitense, mentre un’altra fonte indipendente riferisce che oltre la metà della divisione Cloud USA, che fa parte dell’organizzazione Infrastructure guidata dal vicepresidente Ric Lewis, verrà tagliata. Un intervento drastico, che riflette la necessità di mantenere le promesse di redditività fatte dai dirigenti a fronte di risultati solo mediocri nel comparto cloud.

Cloud e infrastrutture: la sfida della redditività

Negli ultimi anni, IBM ha cercato di reinventarsi come azienda cloud-first, puntando su servizi ibridi e intelligenza artificiale per contrastare la concorrenza di AWS, Microsoft Azure e Google Cloud. Tuttavia, i risultati non hanno soddisfatto le aspettative.

Il comparto infrastrutturale, che include i sistemi IBM Z mainframe, le soluzioni di infrastruttura distribuita e i servizi di supporto, ha registrato nel terzo trimestre del 2025 ricavi per 3,6 miliardi di dollari, con una crescita del 17% e margini lordi del 57,2%. Numeri solidi, ma ottenuti con il taglio dei costi e l’ottimizzazione delle risorse.

Secondo ex dipendenti e fonti ancora attive in azienda, questi licenziamenti servono a migliorare i margini e sostenere la promessa di profitto del business infrastrutturale nel corso del 2025. A pesare sarebbero anche le prestazioni inferiori alle attese nel cloud, dove IBM fatica a conquistare nuovi clienti in un mercato dominato dai tre grandi hyperscaler USA.

Offshoring e saturazione: un problema strutturale

All’interno dell’azienda, il clima è descritto come teso e demotivato. Diversi dipendenti hanno raccontato di essere esausti dalle continue ristrutturazioni e dalle periodiche “RA”. La pratica di spostare il lavoro dagli Stati Uniti e dall’Europa verso l’India resta diffusa, anche se non tutti ritengono che in questa tornata i posti eliminati verranno effettivamente riassorbiti oltreoceano.

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Oggi IBM conta circa 270.300 dipendenti nel mondo, ma non fornisce dati dettagliati per divisione. Secondo i moduli IRS Form 5500 depositati presso il Dipartimento del Lavoro americano, il numero dei partecipanti attivi al piano 401(k) dell’azienda è sceso da 52.674 nel 2023 a 49.030 nel 2024, un dato che fotografa indirettamente la progressiva contrazione della forza lavoro statunitense. Per avere un termine di paragone, nel 2002 gli impiegati IBM negli USA erano circa 160.000.

Parallelamente, le offerte di lavoro pubblicate da IBM mostrano uno sbilanciamento geografico evidente, con oltre 2.800 posizioni aperte in India, contro appena 376 negli Stati Uniti. In Giappone le offerte sono 228, nelle Filippine 225, nel Regno Unito 127 e in Canada 112. È un quadro che conferma la tendenza verso una distribuzione sempre più orientata ai mercati a basso costo del lavoro.

Ufficialmente, IBM minimizza la portata del nuovo intervento. In una dichiarazione rilasciata a Bloomberg, un portavoce dell’azienda ha infatti parlato di un’azione che riguarderà “una percentuale a singola cifra bassa della forza lavoro globale”. Tradotto in numeri, si parla di un taglio compreso tra l’1% e il 2% del personale mondiale, ovvero tra 2.700 e 5.400 dipendenti.

Un ridimensionamento apparentemente contenuto ma che nasconde una concentrazione geografica e settoriale molto più drastica, con le divisioni Cloud e Infrastructure statunitensi che sembrano sopportare la parte più pesante dei tagli mentre altre aree vengono rafforzate.

Il paradosso IBM: profitti in crescita, ma meno dipendenti

Ciò che rende questo scenario ancora più controverso è che i tagli arrivano in un momento di relativa solidità finanziaria. Nel terzo trimestre del 2025, IBM ha infatti registrato 1,7 miliardi di dollari di utili su 16,3 miliardi di ricavi, con una crescita del 9% anno su anno. Numeri che testimoniano una buona tenuta del business, ma anche una strategia orientata più all’efficienza che all’espansione.

In un mercato tech in cui anche giganti come Amazon e Oracle hanno annunciato nuovi piani di licenziamento (rispettivamente 14.000 e alcune migliaia di posizioni), IBM si muove nella stessa direzione, cercando di snellire le strutture e consolidare le aree più redditizie.

(Immagine in apertura: Shutterstock)