Nvidia è al centro della guerra commerciale tra USA e Cina

Secondo quanto riportato dal Financial Times, Nvidia sarebbe stata di fatto esclusa dal mercato cinese dopo che le autorità di Pechino hanno ordinato alle principali aziende tecnologiche del Paese di sospendere i test e cancellare gli ordini dei suoi acceleratori. La decisione, presa dalla Cyberspace Administration of China, ha coinvolto colossi come Alibaba e ByteDance, oltre ad altre realtà non meglio identificate, e ha come oggetto specifico la nuova scheda RTX Pro 6000D Blackwell.
Si tratta di una versione “ridotta” della RTX Pro 6000, progettata da Nvidia appositamente per rispettare i limiti imposti dalle regole di esportazione statunitensi sulle GPU destinate alla Cina (potenza di calcolo limitata a circa 581 teraFLOPS in FP4 e una banda passante di memoria di 1,4 TB/s). Il prodotto è stato a lungo oggetto di indiscrezioni, ma il suo debutto sembra ora compromesso proprio dalle mosse regolatorie del governo cinese.
Sebbene in precisione a 4 bit la scheda offra prestazioni interessanti, in scenari a precisione più elevata il suo livello si avvicina a quello dell’acceleratore H20 (anch’esso progettato da Nvidia appositamente per il mercato cinese), con meno della metà della banda di memoria e senza supporto per interconnessioni ad alta velocità tra chip. Un fattore che ne riduce sensibilmente l’efficacia nelle attività di addestramento dei modelli IA, rendendola adatta soprattutto all’inferenza o al fine-tuning.
Nonostante queste limitazioni, diversi grandi gruppi tecnologici cinesi avevano già espresso interesse per l’acquisto di decine di migliaia di unità e avevano iniziato la fase di validazione con fornitori di server, in vista di una rapida adozione nei propri data center.
L’avanzata dei chip cinesi e il ruolo di Alibaba
Il bando arriva in un momento in cui la Cina sta accelerando lo sviluppo di alternative domestiche. Tra i player più attivi spicca Alibaba, che con la sua divisione T-Head è riuscita a ottenere un importante contratto con l’operatore China Unicom. Quest’ultimo, che vanta 1,2 miliardi di abbonati, ha scelto le soluzioni locali per alimentare i propri progetti di intelligenza artificiale, valutando allo stesso tempo altre proposte di produttori cinesi.
La decisione di Unicom si inserisce in una più ampia strategia di riduzione della dipendenza da fornitori stranieri, spinta anche dalle tensioni geopolitiche e dalle restrizioni sempre più severe sulle esportazioni di chip avanzati da parte degli Stati Uniti. Il provvedimento delle autorità cinesi segue di poche settimane le lettere inviate alle big tech nazionali, con cui Pechino aveva già scoraggiato l’utilizzo delle GPU Nvidia H20, in particolare per i carichi di lavoro sensibili legati al settore governativo.
Gli acceleratori Nvidia H20 e AMD MI308 (versioni depotenziate rispettivamente degli H200 e dei MI300X), erano stati inizialmente vietati dall’amministrazione Trump lo scorso aprile. Tuttavia, a luglio le due aziende erano riuscite a negoziare una parziale revoca, accettando di versare un 15% delle entrate generate dalle vendite in cambio dell’autorizzazione a riprendere le spedizioni verso la Cina.
Nel corso della conference call sui risultati del secondo trimestre, la CFO di Nvidia, Colette Kress, aveva spiegato che Washington aveva concesso il via libera alla ripresa delle vendite verso la Cina, pur in attesa della pubblicazione di regole formali. Ora, però, l’intervento delle autorità cinesi sembra complicare ulteriormente lo scenario.
La scelta di Pechino di frenare le importazioni di hardware Nvidia è motivata anche dalla crescente competitività dei chip sviluppati localmente. Huawei, ad esempio, con i suoi Ascend 910C e CloudMatrix 384, ha già dimostrato di poter superare le prestazioni della H20 in diversi contesti applicativi. Questi progressi rafforzano la narrativa cinese di un’autosufficienza tecnologica sempre più concreta, riducendo la dipendenza dalle forniture statunitensi e rendendo meno urgente l’acquisto di soluzioni Nvidia depotenziate. Il quadro si completa con altre realtà emergenti, sostenute da consistenti investimenti pubblici e privati, che mirano a presidiare in maniera autonoma l’intera filiera dei semiconduttori avanzati.
La risposta di Nvidia
In una conferenza stampa a Londra, il CEO di Nvidia, Jensen Huang, ha commentato la situazione esprimendo rammarico per la decisione di Pechino. “Possiamo essere al servizio di un mercato solo se un Paese desidera la nostra presenza”, ha dichiarato Huang, sottolineando di essere deluso da quanto accaduto. “Capisco che ci siano questioni più ampie tra Cina e Stati Uniti. Sono però paziente e continueremo a sostenere sia il governo cinese, sia le aziende cinesi quando lo vorranno”.
Parole che mostrano la volontà del gruppo californiano di non interrompere i rapporti con la Cina, pur nella consapevolezza che le tensioni geopolitiche e le strategie industriali locali potrebbero ridurre lo spazio di manovra. Ovviamente, la notizia ha avuto un impatto immediato sui mercati, con le azioni Nvidia che hanno chiuso la giornata con un calo del 2,6%. Tuttavia, secondo gli analisti, la misura adottata da Pechino non dovrebbe incidere in maniera significativa sui conti dell’azienda.
Il colosso tech americano resta infatti fiducioso di poter riprendere le vendite delle H20 e, in prospettiva, di portare la nuova architettura Blackwell anche sul mercato cinese, contando su tali ricavi per sostenere le previsioni del terzo trimestre fiscale. La crescente domanda globale di GPU per intelligenza artificiale, trainata soprattutto dal mercato statunitense e da quello europeo, rappresenta in ogni caso per Nvidia un ammortizzatore importante rispetto a eventuali difficoltà nell’area asiatica.
(Immagine in apertura: Shutterstock)