Trump vorrebbe sanzionare i rappresentanti delle istituzioni UE che implementano il DSA

L’amministrazione Trump sta valutando la possibilità di imporre sanzioni contro funzionari dell’Unione Europea o dei singoli Stati membri ritenuti responsabili dell’attuazione del Digital Services Act (DSA), la normativa europea volta a regolare le piattaforme digitali. Secondo fonti vicine al dossier riportate da Reuters, le misure punitive potrebbero concretizzarsi sotto forma di restrizioni sui visti.
Un braccio di ferro senza precedenti
Da tempo Trump critica il DSA, accusandolo di imporre costi eccessivi alle Big Tech statunitensi e, soprattutto, di rappresentare una forma di censura nei confronti degli americani, in particolare delle voci conservatrici. Mentre i partner commerciali possono spesso contestare norme straniere considerate troppo restrittive, il caso attuale si distingue per la sua gravità, visto che arrivare a colpire funzionari di un’istituzione alleata con sanzioni personali è una mossa rarissima.
Il Segretario di Stato Marco Rubio ha ordinato nelle scorse settimane ai diplomatici statunitensi in Europa di fare pressione sui governi locali per spingere a una revisione o persino all’abrogazione del DSA. L’obiettivo dichiarato è contrastare una normativa ritenuta contraria alla libertà di espressione e troppo onerosa per le società digitali americane.
Già a maggio, lo stesso Rubio aveva minacciato divieti di visto per chiunque “censurasse” la voce degli americani, compresi funzionari stranieri coinvolti nella regolamentazione delle piattaforme social. In linea con questo approccio, la Casa Bianca ha ampliato il suo raggio d’azione anche al contesto europeo, accusando governi e istituzioni UE di reprimere le opinioni di movimenti e partiti conservatori.
La replica europea
La Commissione Europea ha sempre respinto con decisione le accuse statunitensi, definendo le preoccupazioni di Washington “completamente infondate”. Un portavoce ha ribadito che la libertà di espressione è un diritto fondamentale dell’UE e che il DSA ha proprio l’obiettivo di bilanciare tale principio con la necessità di contrastare contenuti illegali online, come discorso d’odio e materiale di abuso sui minori.
Secondo Bruxelles, il DSA non rappresenta uno strumento di censura, bensì un insieme di regole per rendere l’ambiente digitale più sicuro e trasparente, tutelando al contempo i diritti fondamentali degli utenti.
Il conflitto non riguarda soltanto i valori politici e sociali, ma anche gli interessi economici. Trump ha già minacciato dazi aggiuntivi contro i Paesi che introducono tasse digitali o normative considerate discriminatorie verso le aziende americane. Nel febbraio scorso, il presidente aveva ordinato al suo rappresentante commerciale di riaprire le indagini per colpire le importazioni da quei Paesi che tassano i servizi digitali delle Big Tech USA.
Questa strategia segna un allontanamento dalla tradizionale politica estera americana, storicamente attenta alla promozione della democrazia e dei diritti umani. L’attuale amministrazione privilegia invece un approccio più pragmatico e selettivo, sostenendo cause in linea con la propria base politica. Non a caso, Washington ha anche imposto sanzioni a un giudice della Corte Suprema brasiliana che stava processando l’ex presidente Jair Bolsonaro alleato di Trump, accusandolo di aver represso la libertà di espressione.
In Europa, le critiche statunitensi si sono concentrate soprattutto sul presunto soffocamento delle forze politiche di destra, con accuse rivolte a Paesi come Germania, Francia e Romania. Al centro delle polemiche vi è la percezione che il DSA e altre normative europee vengano utilizzate per limitare la diffusione di opinioni conservatrici o contrarie alle politiche migratorie.
(Immagine in apertura: Shutterstock)