La recente disputa tra AWS e Microsoft, portata all’attenzione della CMA del Regno Unito, sta mettendo in luce pratiche di licensing che potrebbero avere un impatto significativo sulla concorrenza nel settore dei servizi cloud. Secondo AWS, le politiche di licensing adottate da Microsoft ostacolerebbero infatti la libera concorrenza e condizionerebbero in modo artificiale le scelte dei clienti enterprise, limitando la migrazione dei carichi di lavoro dal cloud Azure verso altre piattaforme come AWS o Google Cloud.

Il cuore della questione risiede nelle modifiche apportate da Microsoft nel 2019 alle sue politiche di licensing per Windows Server, che hanno reso fino a quattro volte più costoso eseguire le sue applicazioni cloud su infrastrutture diverse da Azure, come appunto AWS, Google Cloud o Alibaba Cloud. Questa strategia, secondo Amazon, rappresenta un deterrente economico che spinge molte aziende a restare legate all’ecosistema Microsoft, anche quando vorrebbero valutare alternative.

AWS, nella sua dichiarazione formale alla CMA, sostiene che se non fosse per questi costi di licensing gonfiati, almeno la metà dei carichi di lavoro attualmente ospitati su Azure da clienti enterprise migrerebbe verso data center alternativi, tra cui proprio AWS. Il colosso americano afferma inoltre che la strategia di Microsoft sta danneggiando non solo la concorrenza ma anche i consumatori finali, impedendo una naturale riduzione dei prezzi grazie alla competizione.

Secondo le stime della CMA, tra il 70 e l’80% dei clienti enterprise utilizza ancora Windows Server in ambienti on-premises. Questo, combinato con i costi maggiorati per chi decide di spostarsi su cloud alternativi, contribuisce a rafforzare la posizione di Microsoft e a limitare le possibilità di scelta per le aziende. AWS e Google vedono in queste pratiche una forma di legame commerciale forzato, che di fatto ostacola la migrazione verso infrastrutture concorrenti.

AWS accusa Microsoft anche di utilizzare restrizioni non legate al prezzo per influenzare in modo diretto i costi sostenuti dai clienti, spingendo le imprese a riacquistare licenze software già in loro possesso qualora decidano di spostarsi su cloud rivali. Questo meccanismo, sempre secondo Amazon, rende più oneroso l’utilizzo dei propri servizi e riduce la competitività nel mercato, avvantaggiando artificialmente Azure.

La stessa CMA aveva già espresso, in un parere provvisorio, la preoccupazione che la strategia di Microsoft le permettesse di limitare parzialmente la concorrenza di AWS e Google, alterando le dinamiche di mercato dei servizi cloud. La commissione ritiene plausibile che l’approccio di Microsoft stia effettivamente influenzando le scelte dei clienti e che il potere di mercato di Redmond vada ben oltre la semplice competitività sul prodotto.

Crediti: Shutterstock

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Nel mese scorso, Microsoft ha difeso la propria posizione sostenendo che un eventuale intervento normativo a favore della concorrenza equivarrebbe a violare i suoi diritti di proprietà intellettuale. L’azienda ha affermato che nessun altro fornitore di software sarebbe soggetto a simili restrizioni e che la sua politica di licensing, sebbene discussa, rientra nella normale gestione dei propri asset intellettuali.

Il rapporto della CMA include anche ulteriori accuse di AWS, secondo cui Microsoft starebbe “gonfiando i prezzi” e impedendo a Google e Amazon di competere ad armi pari. AWS ha dichiarato che è ingiusto costringere i clienti a pagare nuovamente licenze già acquistate solo per poter eseguire Windows Server su piattaforme diverse da Azure e che, anche cercando di compensare i costi con sconti, non esisterebbe un modello sostenibile che consenta di competere in modo profittevole.

In questo contesto, anche Google si è schierata apertamente a fianco di AWS, sottolineando come le pratiche di Microsoft abbiano influenzato negativamente le scelte di alcuni clienti. Google ha presentato alla CMA un esempio concreto di un cliente aziendale soddisfatto dei servizi Google Cloud, che ha comunque trasferito l’intera infrastruttura Windows Server su Azure per ragioni di licensing e convenienza economica. Inoltre, Google ha proposto tre misure correttive temporanee per impedire a Microsoft di degradare ulteriormente i termini di licensing per gli operatori concorrenti, vincolare nuovi clienti o limitare la libertà dei fornitori indipendenti di software nel rivendere licenze Microsoft per l’utilizzo su cloud diversi.

Microsoft, da parte sua, respinge le accuse di abuso di posizione dominante e contesta la visione della CMA, ritenendo troppo generiche le conclusioni preliminari. Secondo l’azienda, il valore delle licenze software rappresenta solo una parte dei costi complessivi che i clienti sostengono nel migrare su cloud, poiché servizi come storage, rete e backup (spesso offerti da AWS e Google) incidono fortemente sui margini economici delle transazioni. Microsoft afferma inoltre che le sue politiche di prezzo per le licenze SPLA (Service Provider License Agreement) sono calibrate proprio per evitare di scoraggiare l’uso del proprio software su cloud terzi, sottolineando che, se i prezzi fossero troppo elevati, spingerebbero inevitabilmente gli operatori verso alternative non Microsoft.

Secondo Microsoft, è proprio l’interesse commerciale nel mantenere la diffusione di Windows Server e SQL Server anche su infrastrutture concorrenti a dimostrare l’assenza di una vera strategia di esclusione. La compagnia ritiene inoltre che, anche in presenza di restrizioni, la concorrenza sia viva e che AWS e Google siano perfettamente in grado di conquistare clienti offrendo servizi complementari competitivi.

Il verdetto definitivo della CMA su questa indagine è atteso per il 4 luglio.

(Immagine di apertura: Shutterstock)